Nell’ordinamento generale del Messale Romano, al numero 19 si legge: “Non sempre si possono avere la presenza e l’attiva partecipazione dei fedeli, che manifestano più chiaramente la natura ecclesiale della celebrazione. Sempre però la celebrazione eucaristica ha l’efficacia e la dignità che le sono proprie, in quanto è azione di Cristo e della Chiesa, nella quale il sacerdote compie il suo ministero specifico e agisce sempre per la salvezza del popolo. Perciò a lui si raccomanda di celebrare anche ogni giorno, avendone la possibilità, il sacrificio eucaristico”. Al n. 254 prosegue: “La celebrazione senza ministro o senza almeno qualche fedele non si faccia se non per un giusto e ragionevole motivo. In questo caso si tralasciano i saluti, le monizioni e la benedizione al termine della Messa”.
In questi giorni di restrizione per la diffusione del Coronavirus, le comunità parrocchiali si sono trovate prive dei propri fedeli e quindi hanno sperimentato l’assenza della loro partecipazione attiva alla liturgia. Da alcune parti si sono levati scudi sul senso della celebrazione “senza il popolo”, sul suo significato, sul valore di essa. Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli, scrive: “Indubbiamente ciò che è male rimane male e ciò che è emergenza rimane emergenza. Ma anche un fatto in sé doloroso e molto negativo assume un valore differente per la nostra vita dal modo in cui noi lo viviamo, scegliamo di viverlo e, come credenti, cerchiamo di comprendere come attraversarlo alla luce della Parola di Dio… Perché insistere così tanto unicamente sulla Messa trasmessa per televisione? Può certo essere una cosa buona per persone sole o anziane; può essere utile per ascoltare le letture e l’omelia. Ma è una esperienza di comunità vera? Educa di più alla Celebrazione eucaristica vedere un presbitero celebrare da solo, oppure celebrare la Parola, in attesa di poter vivere pienamente l’Eucaristia? Non ci sono anche altri modi per ascoltare la Parola di Dio e per pregare, per vivere la comunione? Non potrebbe essere questo tempo forzato un’occasione per riscoprire che, secondo il dettato del Vaticano II, la Bibbia deve diventare il nutrimento di tutti ed essere in mano a tutti?
… Ci può essere anche un “digiuno eucaristico” che può alimentare l’attesa e la fame di partecipare alla celebrazione eucaristica nell’assemblea liturgica radunata intorno all’altare del Signore. Non potrebbe essere questo “digiuno eucaristico” di oggi, non sconosciuto alla tradizione cristiana, un’occasione per vivere in un modo differente la Celebrazione eucaristica domani?… Se sapremo ascoltare sia la quarantina, sia la quarantena, potremo giungere, rinnovati, a celebrare la Pasqua del Signore. E sarà veramente una Pasqua di Risurrezione! Allora anche le nostre assemblee vivranno la festa del sentirsi nuovamente convocate, magari avendo prima dovuto attraversare il tempo in cui sperimentare un ascolto diverso, un digiuno non scelto ma accolto, una carità autentica”.
Il richiamo del Ferrari si ispira alla Costituzione Conciliare Dei Verbum, dove si legge: “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio » (Eb 4,12), « che ha il potere di edificare e dare l’eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13)”.
Io credo, che il “giusto e ragionevole motivo” di questi giorni, rientri a buon diritto in quella possibilità codificata dal Diritto Liturgico, che ci permetta di celebrare, secondo le indicazioni del Messale, la Messa in assenza del popolo e, usando dei mezzi di comunicazione, rendere partecipi (non certo in maniera attiva, pia, fruttuosa come indicato dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium) i propri fedeli che attraverso la proclamazione della Parola di Dio, la catechesi, la preghiera, proseguono l’itinerario quaresimale, nell’attesa di poterci riunire nuovamente in Santa Assemblea.
Sapere che le porte della Chiesa sono aperte, che il proprio parroco celebra “per voi e per tutti” il sacrificio eucaristico, vedersi assicurato il dono della Parola di Dio e della preghiera, aiuti e sostenga il difficile momento presente e alimenti la speranza.
Per il sacerdote, poi, la celebrazione della Messa non é (come non lo è per tutta la Chiesa) una delle tante devozioni giornaliere, bensì il cuore e il centro della propria giornata sacerdotale, ecco perché, a tal riguardo, il Direttorio per la vita e il ministero dei Presbiteri scrive: “Il sacerdote è chiamato a celebrare il Santo Sacrificio eucaristico, a meditare costantemente su ciò che esso significa e a trasformare la sua vita in una Eucaristia, il che si manifesta nell’amore al sacrificio quotidiano, soprattutto nell’adempimento dei propri doveri di stato. L’amore alla croce conduce il sacerdote a diventare se stesso un’offerta gradevole al Padre per mezzo di Cristo (cf. Rm 12,1). Amare la croce in una società edonistica è uno scandalo, però da una prospettiva di fede, essa è fonte di vita interiore. Il sacerdote deve predicare il valore redentore della croce con il suo stile di vita”.
È necessario richiamare il valore insostituibile che per il sacerdote ha la celebrazione quotidiana della Santa Messa – “fonte e apice” della vita sacerdotale –, anche quando non vi fosse concorso di alcun fedele. Al riguardo, insegna Benedetto XVI: «Insieme con i Padri del Sinodo, raccomando ai sacerdoti “la celebrazione quotidiana della Santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli”. Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore oggettivamente infinito di ogni celebrazione eucaristica; e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione»” (n.67).
Viviamo uniti a Cristo questo momento difficile, la Sua Parola ci illumini e ci conforti, insieme a quell’Eucarestia che, attraverso il mio ministero, nel silenzio surreale di una Chiesa chiusa ai fedeli, presiedo ogni giorno “a lode di Dio e per il bene della santa Chiesa”.
Don Roberto Strano