Secondo l’Istat, in una delle più recenti analisi, l’età media dei pazienti deceduti e positivi al Coronavirus è di 79 anni. Ciò vuol dire che il Covid- 19 ha colpito duro proprio la fascia d’età più alta: le persone dai 70 anni in su, per intenderci. Certo, non solo loro. Ma loro in modo fortissimo. Il dato è ben noto. A Bergamo in molti han detto che “il Covid ci ha portato via un’intera generazione”. Sì, non dappertutto, non ovunque, ma al Nord e in particolare in Lombardia se ne sono andati davvero in tanti. Molti di questi anziani sono morti negli ospedali o nelle proprie case: questi ultimi senza entrare nelle statistiche dei deceduti per Coronavirus (e perciò i dati effettivi dell’impatto reale dell’epidemia, forse, non li sapremo mai con precisione). In molti ci hanno lasciato nelle case di riposo, in alcuni casi anche a motivo di una gestione dell’emergenza, da parte degli enti preposti, non del tutto oculata e le cui responsabilità sono in fase di accertamento. Ma – come è già stato detto – scaricare le colpe sulle case di riposo e accanirsi contro di esse, magari attraverso “class action” legali, sembra un facile scaricabarile per nascondere altri tipi di mancanze, ad altri livelli. Non ultime le responsabilità di chi non ha voluto prendersi cura dei propri cari (perché, diciamolo, – speriamo rarissimamente – è anche così). “Per favore, parli di questi vecchi che se ne vanno così, senza un saluto e senza un funerale… Proprio loro che, invece, hanno dato così tanto all’Italia!”.
Questo era l’appello preoccupato di una persona anziana, intimorita dalle notizie secondo le quali in caso di emergenza la precedenza nelle cure va assegnata “a chi ha una probabilità di vita più alta” e quindi ai più giovani. Un appello che fa capire quanta delicatezza sia necessaria (e non sempre c’è!) nell’uso delle parole, soprattutto quando si ha a che fare con vite umane, perché a tutte le età si ha il sacrosanto desiderio (e diritto) di essere trattati come persone.
E che dire dell’isolamento in cui muore chi è affetto da Covid: un isolamento che non permette di onorare la persona – e il lutto dei suoi familiari – in modo adeguato? Proprio questo è toccato in sorte a questa generazione di anziani: una generazione per certi aspetti speciale. Quanti oggi hanno tra i 75 e 90 anni hanno vissuto sulla propria pelle il dramma del secondo conflitto mondiale e sono stati i principali fautori della rinascita dell’Italia nel Dopoguerra. Si tratta in gran parte di persone che hanno lavorato molto e che si sono adattate, senza lamentarsi, a fare quello che c’era da fare. E loro, certo, non si sono risparmiate: hanno lavorato, hanno inventato, hanno creato… Si sono rese protagoniste dello sviluppo degli anni ’50 e ’60, sino al raggiungimento di un certo benessere negli anni ’80 e ’90. E poi è storia (quasi) recente. Hanno lavorato molto. Spesso hanno sacrificato relazioni o formazione, soprattutto nel nostro Veneto.
Ma in quegli anni era fondamentale, oltre che urgente, uscire dalla miseria e costruire una società nuova o – per lo meno – una famiglia con basi economiche sufficientemente solide, senza andare troppo per il sottile. Non è andato bene tutto, in quella stagione di storia italiana, lo sappiamo. Non è stato tutto oro. Però è indubbio che queste persone hanno dato un contributo altissimo al nostro Paese e le generazioni attuali hanno un debito di gratitudine nei loro confronti. Senza tener conto, poi, di quanto questi attuali nonni e nonne in molti casi hanno dato e continuano a dare alle famiglie dei loro figli: nella cura dei nipoti, ad esempio, o in varie altre forme di sostegno, anche economico…
Ci vorrebbe un poeta – un nuovo Omero – che cantasse un canto funebre su tutti questi morti, ne esaltasse le gesta e narrasse alle generazioni future quanto essi hanno compiuto. E che questo canto restasse, come scritto sulle pietre, a perenne memoria. Per questi anziani sarà dura anche la tanto attesa “fase due”. Dopo quasi due mesi di blocco totale (lockdown), in quanto soggetti a rischio non sarà loro permesso immediatamente di uscire. Se stare in casa è difficile per tutti, lo è e lo sarà ancora di più per delle persone che non hanno dimestichezza con i dispositivi digitali che permettono ai più giovani di mantenersi in contatto con gli altri.
Tra le tante attenzioni da avere, passata l’emergenza, una senza dubbio andrà riservata proprio a questa fascia d’età. E segni positivi in questa direzione ce ne sono già: penso ai parroci che telefonano a casa oppure ai comuni che si sono attrezzati per dei servizi di ascolto dedicati ai più anziani… Non dimentichiamocene: ce lo richiedono per lo meno il senso di gratitudine e la cura nei confronti delle persone, in questo momento, più fragili.
Alessio Magoga
direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)