Coronavirus ed emergenza / La singolare Pasqua trascorsa ci ricorda che la festa è nei cuori

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Noi siamo il popolo della Pasqua e “Alleluia” è la nostra canzone
San Giovanni Paolo II

F come Festa. L’uomo da sempre ha bisogno di fare festa. Il ritmo della settimana è così scandito fin dalla Creazione. L’uomo si confronta col cosmo e il suo Creatore ed è portato a dedicare un giorno alla contemplazione di tutto ciò che lo circonda. È quasi un istinto quello che nei millenni distingue gli uomini dagli animali fino a divenire un culto che oggi, almeno ad un primo livello, accomuna credenti e non credenti.

Anche se non tutti celebrano la festività religiosa, tutti praticano un giorno di riposo e cessazione delle attività lavorative. E poi ci sono le feste grandi, quelle che si aspettano tutto l’anno, feste religiose e civili che spesso coincidono e segnano il corso del tempo come giorni anche di vacanza. Infine ci sono le feste famigliari, i compleanni e gli onomastici, nonché gli anniversari o le altre ricorrenze che suggellano la storia di ogni nucleo famigliare. Ci chiediamo: può forse essere negata la festa? Lo stiamo sperimentando in queste settimane di “chiusura” per prevenire il contagio del Coronavirus e lo abbiamo in particolare vissuto durante la Pasqua da poco trascorsa.

Abbiamo constatato che la festa non può essere solo il giorno scritto con colore diverso sul calendario, ma è un tempo che necessita la nostra cooperazione fattiva. È festa quando noi ci disponiamo ad essa, quando non solo l’aspettiamo, ma col nostro desiderio la proponiamo. Festa nel cuore e nella mente è quella che abbiamo ricreato poco più di una settimana fa, in occasione della Pasqua. Una Pasqua a porte chiuse, chiese vuote e parchi deserti. Una Pasqua con divieto di praticare i luoghi di culto e anche tutti i luoghi di svago tradizionalmente frequentati per l’occasione.

Eppure una Pasqua di Resurrezione con lo stesso significato di tutte le altre. Come abbiamo potuto festeggiare? C’è chi ha concentrato la maggior parte delle sue risorse nella cucina. Il cibo da sempre accompagna la festività e molti di noi sanno come esso compensi la mancanza di poter uscire di casa. Mangiamo per distrarci, per ritrovare il buon umore e questo incide sulla bilancia anche perché nel frattempo diminuisce l’attività motoria. Ma non è solo il cosa mangiare che definisce la festa, c’è anche il come.

Si, è sempre lo stesso nucleo famigliare, non si possono invitare ospiti, ma il giorno di Pasqua si pranza in sala, con la tovaglia elegante e il servizio bello (quello del corredo di nozze). Tutto può concorrere alla festa. Un gioco fatto tutti insieme, un brano musicale ascoltato ad un volume un po’ più alto del solito, la valorizzazione del pur piccolo balcone per un raggio di sole che scalda, una preghiera condivisa in comunione con tutta la Chiesa (magari con l’aiuto della tv o di una celebrazione in streaming).

Si diceva degli ospiti assenti: Pasqua è tradizionalmente “con chi vuoi”, ma quest’anno è stata solo con chi si poteva. E il pensiero va alle tante persone sole, spesso anziane, che quest’anno hanno trascorso i giorni pasquali in grande solitudine. Come fare festa cosi? Una sfida solo in parte supportata dai nuovi mezzi di comunicazione. Il desiderio di avere vicino un genitore, un figlio o un nonno può concretizzarsi in una videochiamata o un collegamento in rete con una delle tante applicazioni, ma non è la stessa cosa che avere in carne e ossa la persona presente.

C’è un desiderio dell’altro che matura nel tempo e nella distanza, una nostalgia creativa che avvicina l’assente e gli crea spazio nel cuore, anche oltre la sua esistenza terrena. In comunione coi vivi distanti e i defunti partiti, si può fare festa anche entro le mura domestiche. È la disposizione interiore che alimenta il giorno di festa e mai come quest’anno abbiamo scoperto che la festa va costruita, edificata, pensata, non ci si può adagiare ad aspettarla soltanto.

Una festa che si nutre del suono lontano delle campane, una festa che talvolta tracima nei flash mob dalle finestre, ma che in sostanza è nei cuori di chi la celebra, nei sorrisi, in una parola gentile, in un invito alla speranza in un futuro migliore perché – come scrive il poeta Montale – “tendono alla chiarità le cose oscure”.

Giovanni M. Capetta

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