Gli operatori di “ Operazione Colomba”, Corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII”, hanno da tempo attivato il progetto noto come “ Apertura corridoi umanitari”. Esso è stato attuato su iniziativa di alcuni volontari facenti parte di quella comunità. I criteri di attuazione sono stati approvati a seguito di un protocollo d’intesa firmato dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. E anche dalla Tavola Valdese del Governo Italiano e dalla Cei.
Non a caso, oggigiorno, in Italia sono presenti molteplici “gruppi di accoglienza” che operano gratuitamente per favorire la permanenza dei profughi nelle città italiane. I corridoi umanitari, pertanto, sono un programma di trasferimento legale a supporto di tutti i migranti maggiormente a rischio. L’obiettivo perseguito consiste nell’integrazione dei rifugiati secondo una pianificazione strutturata all’insegna della loro sicurezza. Da molti anni gli operatori contribuiscono ad aiutare i civili che, nei paesi funestati dalla guerra, conducono una vita in balia del rischio e della povertà.
Corridoi umanitari, la testimonianza di un volontario
A tal riguardo, risulta essere preziosa la testimonianza rilasciata da uno dei volontari dell’associazione. “ Giorno dopo giorno viviamo con le popolazioni sotto assedio, in capanne o baracche, senza luce o acqua, condividendo le stesse condizioni di povertà e di pericolo che sono costretti a vivere i civili in guerra, sotto continui attacchi armati. Lo facciamo per creare, attraverso la nostra presenza neutrale ed internazionale ( che fa da deterrente all’uso della violenza) e con azioni nonviolente, concreti spazi di riconciliazione e pace”.
Allo stato attuale, l’attivismo di Operazione Colomba è particolarmente marcato in Colombia, Palestina e nei campi siriani del Libano. Siamo, altresì, a conoscenza che il suo intervento è stato frequente e costante in numerosi conflitti internazionali. Inoltre, dal 1992 ad oggi, le statistiche hanno registrato un numero di volontari e obiettori di coscienza superiore a 2500. Nel caso del Libano, per esempio, gli operatori vivono insieme agli abitanti locali nel campo di Tell Abbas, villaggio ubicato a pochi chilometri dalla Siria. Il diretto contatto con le dinamiche quotidiane permette loro di individuare le famiglie più vulnerabili. Infatti, spesso, accompagnano i profughi negli spostamenti fungendo da mediatori con la comunità locale, la polizia libanese e l’esercito.
Di recente, come riportato da don Orazio Tornabene, si è avanzata la proposta di dare asilo ai componenti di una famiglia siriana. “Affinché ciò sia realizzabile – ha sottolineato il prete – serve attivare una rete costituita da persone di buona volontà per trovare loro una casa. E aiutarli a inserirsi nella nostra società gradualmente, al fine di consentire loro di raggiungere l’autonomia. Si tratta di una scelta di Giustizia e di Pace”.
Accogliere anche ad Acireale una famiglia siriana
“Con la Comunità Papa Giovanni XXIII – ha soggiunto – forti dell’esperienza della rete che si è costituita a Santa Venerina e che ha accolto da quasi due anni una famiglia siriana con un percorso positivo, pensavamo di creare un’opportunità qui ad Acireale tutti insieme”.
La realizzazione del piano di accoglienza prevede la sinergica collaborazione della Diocesi locale, della Caritas, del servizio migranti e dei movimenti diocesani. Infatti, don Tornabene ha asserito che “ serve l’aiuto di tutti e di ciascuno”. “Abbiamo pensato – ha aggiunto – di invitare tutti dell’AGESCI, del MASCI, del MEIC, dell’ Azione Cattolica Diocesana, del Coordinamento Acireale per la Pace, della Società San Vincenzo de’ Paoli di Acireale e dell’ Ass. Madonna della Tenda”. “Perciò – ha preannunciato – il 4 maggio, alle ore 20, ci incontreremo nel salone della parrocchia San Paolo per parlarne”.
Livio Grasso