Negli ultimi giorni di campagna elettorale il livello della disputa politica resta basso. L'”emailgate” che riguarda la candidata democratica e i comportamenti sessisti dell’esponente repubblicano tengono banco sui media. Restano in ombra i grandi temi di un confronto che dovrà decidere chi abiterà alla Casa Bianca, ponendosi al timone degli Usa e con un ruolo strategico con riflessi sugli interessi del mondo intero.
Avanti nei sondaggi rispetto al candidato repubblicano Donald Trump, Hillary Clinton sembrava veleggiare verso la Casa Bianca. Poi, venerdì scorso, è deflagrata una bomba. L’Fbi (Federal Bureau of Investigation) ha riaperto la spinosa storia delle email che la Clinton aveva conservato su un server privato anziché su quello ufficiale. La questione sembrava chiusa: lo scorso luglio l’Fbi aveva accusato la Clinton di “sciatteria” ma non aveva trovato niente di penalmente perseguibile. Adesso, però, emergono nuovi elementi. A pochi giorni dal voto il candidato repubblicano Donald Trump, colpito da varie accuse di molestie sessuali, torna in gioco e risale nei sondaggi. Il margine tra i due si riduce. La Clinton – che incassa l’aperto sostegno del presidente Obama – sperimenta l’incubo del sorpasso.
“Emailgate”. Lo scandalo delle mail era scoppiato nel 2012. Era emerso che la Clinton aveva inviato circa 30mila mail ufficiali da un account privato quando era Segretario di Stato. Tra queste, 65 sono state retroattivamente considerate riservate e 22 addirittura top secret. Non solo l’account da cui scriveva Clinton era privato (anche suoi predecessori come Colin Powell lo facevano), ma questi messaggi elettronici erano immagazzinati in un server anch’esso privato, e non su quello ufficiale del governo federale.
L’Fbi ha indagato per capire se questo comportamento della Clinton avesse messo a repentaglio la sicurezza nazionale.
A luglio di quest’anno l’indagine è stata chiusa. Il direttore dell’Fbi James Comey aveva definito il comportamento della Clinton “negligente” e “imprudente”, ma non illecito.
Colpo di scena. Quando ormai lo scandalo delle mail sembrava relegato alle invettive di Trump, in una diversa inchiesta l’Fbi ha sequestrato telefoni e computer dalla casa di Anthony Weiner, ex marito di Huma Abedin, collaboratrice di Hillary Clinton, per una storia di natura sessuale. E analizzando il materiale elettronico l’Fbi ha individuato nuovi elementi che hanno portato il capo dell’agenzia federale a spedire una lettera al Congresso collegando questi nuovi dati all’emailgate. L’inchiesta a carico della Clinton non è stata per ora riaperta, ma la ripercussione politica è già fortissima. Le motivazioni precise della mossa dell’Fbi non sono ancora note. La Clinton ha chiesto al bureau di chiarire velocemente i fatti, e definito l’azione dell’agenzia federale “molto strana” e “preoccupante” perché solleva una nuova ondata di sospetti a pochi giorni dal voto.
Mappa elettorale. Le elezioni dell’8 novembre si decideranno negli stati noti come “battleground states”, ovvero gli stati in cui il risultato è tradizionalmente incerto.
Un punto è chiaro: al momento Clinton è favorita; a Trump servirebbe un mezzo miracolo per diventare presidente degli Stati Uniti.
Trump è in leggero vantaggio in Ohio e Florida, ma è dietro in Pennsylvania e North Carolina, stati su cui ha puntato molto. Il Nevada è un testa a testa. Anche l’Iowa, che fino a un mese fa sembrava propendere per Trump, è ora tornato in bilico. Georgia, Arizona e Utah, stati tradizionalmente repubblicani, vedono la Clinton vicinissima a Trump.
Cattolici americani. I cattolici, un quarto della popolazione americana, sono disorientati e insoddisfatti da due candidati “difficili” da votare per ragioni diverse. Trump è anti-immigrazione, vicino alla lobby delle armi e alla destra più esagitata. Clinton ha posizioni molto liberali su famiglia e aborto.
I cattolici non costituiscono un blocco elettorale unico negli Stati Uniti e si dividono piuttosto equamente tra repubblicani e democratici.
Alla fine voteranno secondo coscienza, “studiando bene le proposte dei candidati e pregando”, come ha suggerito di recente Papa Francesco. In ogni caso la Conferenza episcopale Usa ha più volte richiamato all’importanza di andare a votare e far sentire la propria voce.
Fattore Brexit. “La gente dell’entourage di Trump”, spiega Robert Costa, corrispondente politico del Washington Post, “ritiene che Trump sia un vero outsider, populista e nazionalista, portatore di valori simili a quelli che hanno condotto all’inattesa vittoria della Brexit in Gran Bretagna, un uomo che riuscirà a far votare un numero record di persone da anni allergiche alle urne, sovvertendo ogni aspettativa”.
Minoranze e millennials. Lo staff della Clinton ha meno bisogno di lavorare di fantasia. Guardando i sondaggi più accreditati la candidata democratica appare certamente favorita. “C’è un unico dubbio in campo democratico”, dice Costa. “Gli elettori di Hillary andranno in effetti a votare? I giovani e le minoranze etniche devono partecipare alle votazioni, altrimenti ci potrebbero essere sorprese. Se, per esempio, i neri e parte dei millennials diserteranno le urne a Philadelphia, roccaforte democratica, potrebbero far pendere la bilancia per Trump, forte nelle contee rurali della Pennsylvania”.
Presunti sabotaggi. Mentre sciami di volontari vanno a bussare alla porta casa per casa negli Stati chiave per convincere gli indecisi,
Trump continua a mettere in discussione la legittimità delle elezioni
e invita a vigilare su possibili brogli. Allo stesso tempo la Clinton a più riprese ha sollevato timori rispetto ad attacchi informatici russi tesi a falsare il risultato delle urne.
Damiano Beltrami