Il Caucus (assemblea degli elettori del Partito) dello Stato dell’Iowa e la “Primaria” del New Hampshire hanno inaugurato la stagione della lunga corsa elettorale per la Casa Bianca del 2024. Siamo appena all’inizio, ma già i commentatori e gli analisti politici e dei Media stanno azzardando il pronostico di una nuova e combattuta sfida politica a due per la presidenza americana Biden-Trump.
Riedizione dunque, a parti invertite naturalmente, di quella del 2020. Ma è realistico ipotizzare tale evento? Sarà cioè proprio quello l’esito finale del prossimo martedì 5 novembre? Ed ancora: sarà riproposto quello stesso scenario – dialettico e politico – a tratti così spigoloso e polemico, ma sempre puntiglioso e vivace, col risultato del voto al fotofinish, come quello già visto quattro anni addietro?
Ancora prematuro ipotizzare l’esito dei Congressi dei due Partiti che di norma si celebrano a luglio ed agosto
In effetti, quando si tentano di tracciare gli esiti di elezioni americane, la prudenza dovrebbe essere la più importante ed ascoltata consigliera. Da qui alle Convenzioni dei Partiti che sceglieranno formalmente i candidati alla Casa Bianca, tante cose potranno ancora in concreto accadere. Mutare prospettive, propositi, accordi – reali o supposti – e soprattutto ogni possibile pronostico. E infatti, è bene sottolineare questo aspetto, anche se la tradizione non manca di tramandare e ricordare che il vincitore della “Primaria” del piccolo stato montano del New Hampshire, di solito difficilmente perde l’investitura alla Convenzione del Partito per la nomination.
Contesa tra Biden e Trump al momento incerta soprattutto tra gli aspiranti Repubblicani
Se é in genere automatica la riproposizione al giudizio degli elettori per il Presidente in carica – fatta salva, naturalmente, una sua scelta di rinuncia – molto incerta e serrata si presenta almeno al momento la gara elettorale tra gli aspiranti Repubblicani.
Donald Trump gode delle maggiori preferenze e, in quanto ex presidente, é in grado di far ritornare alla memoria molti dei risultati positivi ottenuti per il Paese nei suoi quattro anni alla Casa Bianca. Al di là di questo, le prime due dispute elettorali in Iowa ed in New Hampshire, nel loro complesso, non hanno ancora espresso una schiacciante superiorità dell’ex capo della Casa Bianca ed attendono altre eventuali controprove in altri cimenti delle “Primarie”.
Ha infatti ampiamente distaccato il suo più vicino avversario, il governatore italo-americano della Florida, De Santis con il 51% contro il 21,2% delle approvazioni nel Caucus dello Stato dell’Iowa. Ma la stessa dirompente percentuale di approvazioni non si è però ripetuta con lo stesso margine, nella prima “Primaria”, nello stato del New Hampshire. In questa seconda competizione, l’ex capo dell’Esecutivo statunitense ha riportato un successo ma con un margine molto più ridotto.
Ha superato infatti l’ex governatrice del Sud Carolina ed ex ambasciatrice all’ONU del 2017-2018, Nikki Haley, soltanto col 54,4% contro il 43,4%. È pertanto quest’ultimo giudizio elettorale che lascia proprio prevedere che, all’interno del Partito dell’Elefante, la lotta si debba presentare ancora piuttosto incerta e in equilibrio tra tutti gli aspiranti in campo. Anche se sembra prudente il dover suggerire come leggermente favorito per la nomination proprio Donald Trump, almeno al momento.
Trump e Biden gli aspiranti più rappresentativi dei rispettivi Partiti
L’attuale presidente, Joe Biden, e l’ex presidente, Donald Trump si presentano indubbiamente come i personaggi politici più rappresentativi in lizza per il governo della Nazione. Ciò in virtù degli incarichi istituzionali già ricoperti. È dunque possibile tentare di stendere un confronto dei risultati ottenuti dalle due Amministrazioni. E anche delle luci e delle ombre che hanno inevitabilmente accompagnato il lavoro dei due presidenti.
I pochi, azzeccati ed essenziali interventi di Trump nell’economia
Donald Trump, investito nella carica il 20 gennaio 2017, ottenne subito evidenti risultati positivi in campo economico, con pochi ma precisi ed essenziali interventi nel settore dell’economia. Infatti, i tagli alle tasse del 2017 aiutarono a creare le condizioni per gli investimenti nei settori degli Affari. Mentre l’efficace lotta alla disoccupazione incoraggiava i consumatori ad avere fiducia. Come? Destinando una parte del reddito all’incremento dei consumi ed in parte anche al settore dell’investimento nei mercati finanziari.
Il mercato della Borsa-valori, per suo conto, apprezzò indubbiamente le iniziative intraprese dall’Amministrazione repubblicana. Con Trump alla Casa Bianca vi fu un balzo in avanti della Borsa, ritenuto eccezionale, del 21,2% dell’indice di Standard & Poor’s. E proprio tra il 2017 ed il maggio 2019, cioè nel corso dei primi due anni e mezzo del nuovo Esecutivo. Con Biden, invece, l’aumento borsistico e nello stesso periodo preso in esame per il suo predecessore, (due anni e mezzo di carica) progredì dell’8,5%. Praticamente, dal 1928 in poi – quasi 100 anni – con Trump ha più che raddoppiato il valore della Borsa, rispetto ad una media storica del 5,7%.
La lotta all’inflazione di Trump e Biden
Con Trump all’Ufficio Ovale, continuò il governo stretto dell’inflazione. Seguì cioè il prolungamento dei bassi livelli, già sperimentati, e dei risultati, già raggiunti, durante gli otto anni di Obama. In particolare, col presidente democratico, tra il 2º trimestre del 2009 ed il quarto trimestre del 2016, la media portata dall’inflazione fu dell’1,4%. Con Donald Trump, il dato fu poco superiore, cioè raggiunse il 2,2% ,e nei primi due anni del Presidente alla Casa Bianca e fino al 1º trimestre del 2019.
Con Joe Biden le cose andavano diversamente. Intanto, occorre precisare che il presidente ha ereditato dal predecessore la Pandemia del Covid 19. Essa era presente sulla scena americana già dalla primavera del 2020. Già quello servì a fare lievitare decisamente verso l’alto l’inflazione. Ad aggravare poi ancor più i dati, intervenne anche lo scoppio della guerra in Ucraina nel febbraio 2022. Entrambi gli avvenimenti mutarono decisamente sia lo sviluppo delle crescita economica statunitense come anche quello dei costi delle materie prime, importate negli Stati Uniti. Fu allora, nel 2022, che l’inflazione salì ai livelli più alti degli ultimi 40 anni. E ciò costituì automaticamente il problema dei problemi di Joe Biden.
L’inflazione non è stata del tutto domata da Biden
Nonostante tutte le iniziative della Banca Centrale Federale (Federal Reserve o FED) di aumentare i tassi d’interesse per raffreddare l’inflazione, la lotta al caro-vita è, in verità, apparsa più dura e complicata del previsto, complessa e difficile. A giugno del 2022, la scalata inflazionistica aveva già raggiunto il 9%, mentre l’indice dei prezzi al consumo segnava il 4,9%. Ecco allora che gli U.S.A. si sono trovati di fronte ad una inflazione determinata, o comunque causata, dagli alti costi dei generi di prima necessità.
Essa sta ancora oggi turbando il sonno ed i sogni del capo dell’Esecutivo statunitense. Infatti, essa è discesa dal 9,1% del giugno 2022 al 6% segnato a marzo del 2023. Ed oggi – gennaio 2024 – ha raggiunto il livello più ragionevole, ma purtuttavia ancora insoddisfacente del 3,4%.
Ancora distante dunque dalla media di Obama e dal tasso di Trump. Gli alti prezzi turbano la fiducia dei consumatori e diminuiscono la capacità di spesa degli Americani. D’altro canto, mentre la FED fa il possibile per scoraggiare l’inflazione, il concreto rischio di cadere nella depressione e nella recessione resta presente ed incombe sulla scena politica.
Effetti negativi delle manovre monetarie per contenere l’inflazione
Qualcuno ha affermato che finora l’inflazione, per Biden, si é rivelato il vero avversario da battere. E molto più ostico, probabilmente di Trump, e degli altri competitori del Partito Repubblicano. Forse la boutade ha un fondo di verità, certamente da non sottovalutare. Infatti, tra l’altro, le stesse misure prese dalla FED per raffreddare l’inflazione e tenere giù i prezzi hanno portato anche degli effetti negativi. Per esempio, hanno reso più costose le compravendite di immobili ed auto. Le industrie, dal canto loro, in funzione del mercato depresso per i beni invenduti, hanno messo in atto sospensioni temporanee dei dipendenti dal lavoro. Per gruppi e secondo il ciclo produttivo.
Gli investitori a loro volta sono rimasti indecisi e dubbiosi. Stentano ad aiutare una economia in fase di recessione. In definitiva, dunque, il confronto intorno alle misure per rendere l’economia americana stabile, in competizione ed in grado di rivaleggiare col sistema Cinese – che le due Amministrazioni Trump/Biden nel loro insieme hanno preso tra il 2017 ed il 2024 – sembrano far emergere e premiare l’Esecutivo repubblicano. A questo giudizio si giunge, pur tenendo nel debito conto gli effetti della Pandemia del Coronavirus. Effetti che hanno colpito tra il 2020 ed il 2021 gli Stati Uniti ed in equa misura, hanno intralciato severamente i programmi ed il lavoro delle due Amministrazioni.
La lotta alla disoccupazione
Trump ha rivendicato, con convinzione e forza alla sua Amministrazione, il merito del successo per aver ridotto ai minimi storici la disoccupazione negli Stati Uniti. Con buoni motivi: la disoccupazione infatti nel 2019 è scesa abbassandosi al 3,5 %, cioè l’indice storico più basso degli ultimi 50 anni. Dal tempo della presidenza del repubblicano Richard Nixon, nel 1969.
A causa della Pandemia, Biden nel 2021 ha ereditato invece un fenomeno sociale ben più elevato. E cioè giunto al 6,3% nel gennaio 2021. La questione sembrò riprendersi molto positivamente nel mese di aprile del 2023, ma si é di nuovo posizionata a gennaio 2024 al livello del 3,7%. Cioè un indice superiore, a quello del presidente repubblicano del 2019. Per quanto l’indice sia volatile, al momento anche in questa grandezza economica, dimostra l’attuale vantaggio sul concreto dell’ex presidente Trump.
Il ritardo dell’Esecutivo Biden rispetto al precedente sui provvedimenti in materia economica, giustifica anche il ritardo nella scala dei sondaggi di gradimento degli americani, dell’Amministrazione in carica rispetto alla Presidenza repubblicana?
Anche il confronto tra i sondaggi demoscopici di gradimento degli elettori, presi nel periodo dicembre 2019-gennaio 2020 e quelli corrispondenti catturati pure nell’analogo spazio di tempo, dicembre 2023-gennaio 2024, mostrano delle differenze, com’é ovvio. Ed anche in quel caso, Donald Trump é classificato meglio e più in avanti, rispetto a Biden. Infatti, mentre Joe Biden mostrava una percentuale di approvazione degli Americani tra il 38,8% della fine di dicembre 2023 ed il 41% del mese di gennaio 2024, il precedente indice osservato per il predecessore Trump, avvantaggia quest’ultimo.
È stato comunemente affermato che gli americani, di regola, votano con una mano sul cuore e con l’altra pronta a proteggere il portafoglio. Se tutto questo corrisponde realmente a verità, l’impressione che se ne ricava é che a novembre sarà l’Economia, nel suo insieme, a scegliere il nuovo presidente. E le valutazioni degli elettori saranno ispirate ed indirizzate dallo stato dell’economia. Proprio, tra agosto e novembre del 2024. Anche per tali riflessioni, é oltremodo difficile fare previsioni che sia l’uno o l’altro dei possibili e pugnaci avversari, a vincere la gara per la Casa Bianca. Certo, nel Paese il sentimento d’insoddisfazione per come stanno andando le cose é presente ed evidente. Tra l’altro, anche nel settore della politica estera, i dubbi e le obiezioni alle performances del secondo presidente cattolico della storia americana sussistono e sono sul tappeto.
Joe Biden: una Presidenza appannata?
Le azioni del Presidente americano sono state criticate. E molto sovente per non aver tentato tutto il possibile per prevenire la guerra tra Mosca e Kiev. Biden soprattutto non ha saputo cogliere dal suo predecessore John Fitzgerald Kennedy, cattolico e democratico allo stesso tempo, l’insegnamento pilastro basilare della “Nuova Frontiera” di “non negoziare mai per paura ma allo stesso modo di non aver mai paura di negoziare”.
È fuor di dubbio che il tentativo di negoziare con Putin andava proposto con i risultati che si sarebbero visti. Invece, si è scelta la via di rispondere con la massima fermezza, subito. Senza esplorare le strade per prevenire la guerra, quando i Russi erano pronti ma non avevano ancora invaso l’Ucraina. L’impressione è oggi che si sia scelta una strada senza via d’uscita. E senza avere prima esplorato quella che avrebbe potuto portare ad un accordo che avrebbe impedito il ricorso alle armi.
L’impressione esterna – che il presidente Biden ha dato – é stata quella di una leadership quanto meno incerta. Ed anche nel conflitto medio – orientale tra Hamas ed Israele, le sue azioni non sembrano in grado di esprimere proposte e suggerimenti tali da portare finalmente ad una definitiva pace tra le parti. E pensare che la strada tracciata esiste ed é l’accordo di Oslo. Patrocinato da un altro presidente democratico. Cioè da Billy Clinton.
Una leadership, quella di Biden, al momento insoddisfacente, per diversi caratteri. A meno di progressi sensazionali in politica interna. E di qualche iniziativa, veramente azzeccata ed efficace, nelle aree in cui se ne avverte il bisogno. Anche per questo é veramente impossibile, al momento, tracciare o prevedere l’esito delle elezioni di novembre. Il Partito che ha in carica l’Esecutivo ha sempre il privilegio di giocare qualche carta in grado di mutare, in qualsiasi momento, l’esito della lotta per il primato del Paese.
Sebastiano Catalano
Giovanna Fortunato