Pubblichiamo integralmente, per concessione dell’autore, la relazione che mons. Adolfo Longhitano ha letto nell’incontro di presentazione del libro di mons. Giovanni Mammino, dal titolo “Linera, Cosentini, Maria Vergine” e sottotitolo “Storia di tre borgate dell’antico bosco di Aci”, incontro tenutosi nella piazza di Cosentini.
Dalla vostra numerosa presenza, questa sera, è facile dedurre l’interesse e la gratitudine che volete dimostrare a padre Giovanni Mammino per il bellissimo regalo che vi ha fatto, scrivendo la storia della comunità in cui è nato ed è cresciuto. Non è raro che un parroco o un sacerdote decida di scrivere la storia del suo paese. Però c’è storia e storia. Nella maggior parte dei casi si tratta di libri scritti da persone che ignorano il metodo storico e si limitano a ripetere, senza il necessario vaglio critico, cose già dette.
Un lavoro impegnativo
Padre Giovanni, che ha tutti i numeri per scrivere di storia, ha fatto un lavoro impegnativo.
Ha consultato sia l’archivio storico diocesano ed altri archivi locali, dove si trovano le fonti per lo più inedite. Ha letto ciò che è stato pubblicato per ricostruire l’origine e l’identità delle tre comunità di Linera, Cosentini e Maria Vergine. Se avete in mano il libro, date un’occhiata alle note e alla bibliografia riportata nelle ultime pagine, dove troverete le fonti alla quali padre Giovanni ha attinto.
Un romanzo non ha bisogno di note, perché l’autore scrive di fantasia. Un libro di storia, invece, per ricostruire il passato ha bisogno di documenti e deve indicare le fonti alle quali fa riferimento. Il valore di un libro di storia dipende dalla cura con cui l’autore ha reperito e consultato le fonti e dal modo con cui le ha utilizzate per ricostruire il passato.
Padre Giovanni dopo questo primo regalo, ne ha fatto un altro: ha devoluto per la ricostruzione della vostra chiesa i proventi della vendita del libro e le somme ricevute come regalo per il 25° anniversario del suo sacerdozio. Penso sia doveroso manifestargli la vostra gratitudine con un caloroso applauso.
Perché si scrive un libro di storia? A che serve?
Per dare una risposta a questa domanda dobbiamo partire da un principio generale, che regola l’universo fin dalla sua creazione: tutto si evolve nella continuità. Anche l’uomo fa parte dell’universo ma, in quanto dotato di intelligenza e di libero arbitrio, ha la possibilità di introdurre delle varianti nel processo evolutivo, di programmare sotto certi aspetti il futuro. Poiché l’evoluzione avviene nella continuità, per agire nel presente e programmare il futuro è necessario conoscere il passato.
Queste considerazioni sono ripetute continuamente nei diversi settori delle scienze umane e sono state già fatte nell’antichità. È noto il famoso detto del noto scrittore latino Cicerone: «la storia è maestra della vita». Padre Giovanni, scrivendo la storia delle vostre comunità vi mette nelle condizioni di conoscere importanti aspetti della vostra identità, che vi aiutano a vivere in pienezza il presente e a programmare in modo consapevole e responsabile il futuro.
Nella vita tante volte ci siamo posti questa domanda: chi sono io? Chi siamo noi? Potrebbero sembrare domande semplici, quasi banali. In realtà sono tra le più difficili, perché non è semplice stabilire l’identità di una persona o di un gruppo sociale. Infatti per arrivare a una conclusione apprezzabile sono necessari elementi che riguardano gli specialisti di quasi tutte le scienze umane: genetica, antropologia, sociologia, etnologia, storia, geografia, ecc.
Padre Giovanni è uno storico e per la sua competenza, offre tanti elementi utili che ci consentono di trarre alcune conclusioni interessanti per individuare l’identità delle tre comunità di Linera, Cosentini, Maria Vergine. E conseguentemente l’identità degli individui che formano queste comunità.
L’identità delle tre comunità nel libro di padre Mammino
Il primo elemento utile può essere dedotto dal rapporto popolazione/territorio. Nel libro il tema è trattato con l’analisi del territorio e della sua bonifica per favorire i primi insediamenti. In questo senso la storia delle tre comunità di Linera, Cosentini e Maria Vergine è simile a quella degli altri centri abitati, sorti ma mano nei boschi di Catania e di Aci.
La bonifica dei territori vulcanici dell’Etna ha avuto inizio durante il Medio Evo. E si consolidò a conclusione della guerra del Vespro con l’avvento dei Martini alla fine del Trecento. La lunga guerra, che i baroni siciliani filo-aragonesi fecero alla fazione filo-angioina, aveva reso insicuri i boschi di Catania e di Aci. Pertanto non era consigliabile investire risorse non indifferenti nella bonifica del territorio, per vedere distrutte le opere compiute dalle continue ritorsioni dei baroni in guerra.
Quando i Martini riuscirono a imporre la propria autorità sulle due fazioni in lotta e crearono un clima di pace e di relativa sicurezza, man mano le famiglie aristocratiche e quelle della nascente borghesia iniziarono la bonifica dei territori vulcanici dell’Etna per produrre lavoro e ricchezza. Ho detto bonifica; ma non sempre si trattò di liberare i terreni sciarosi dalle pietre per renderli coltivabili. Si avviò anche un’azione scriteriata di disboscamento, che produsse danni irreparabili nell’ecosistema del territorio etneo. Nel volume di padre Giovanni si accenna anche a questo.
Costruire alle pendici dell’Etna
Chi non conosce la Sicilia e si limita ad esprimere un giudizio da inesperto non riesce a spiegarsi come mai la gente si ostina a coltivare i terreni delle pendici dell’Etna, a costruire case, ad investire capitali, che possono andare perduti per sempre, invece di allontanarsi dal vulcano, che con le sue eruzioni e i terremoti, costituisce un pericolo certo per le persone e le cose.
Chi ragiona così non ha tutti i torti. Ma non tiene presente che i terreni di origine vulcanica sono molto fertili, e che l’Etna genera alla sua base grandi riserve d’acqua. Fertilità del terreno e abbondanza d’acqua sono le componenti fondamentali per lo sviluppo di un’agricoltura diversificata: vigneti, uliveti, frutteti, cereali, ortaggi, canapa, lino, ecc. Le eruzioni, i terremoti sono un pericolo probabile, i frutti che offre la terra coltivata sono una certezza.
È questa la motivazione che ha spinto coloro che hanno deciso di bonificare i terreni sciarosi.
Famiglie abbienti e piccoli proprietari bonificarono i terreni
Padre Giovanni nel suo libro non si limita ad elencare le famiglie abbienti che iniziarono l’opera di bonifica; accenna pure ai piccoli proprietari, che riuscirono ad avere in enfiteusi un appezzamento di terreno su cui costruire la casa e investire i propri risparmi per assicurare alla famiglia il necessario per vivere.
Ovviamente la popolazione delle tre comunità non era costituita solo da proprietari terrieri. La maggioranza era formata da contadini, che lavoravano alla dipendenza dei proprietari, da lavoratori a giornata, da boscaioli, pastori, operai, artigiani, ecc. Anche se una eventuale eruzione comportava danni diretti ai proprietari, indirettamente tutti ne subivano i contraccolpi.
Il lavoro di bonifica era oneroso e impegnativo. Anche su questo punto trovate nel libro la descrizione particolareggiata delle operazioni che bisognava eseguire. Cioè liberare il terreno dalle pietre (l’espressione dialettale è “scatinare” il terreno), costruire i muretti di contenimento per regolare i dislivelli del terreno, destinare un angolo in cui costruire la “torretta” con le pietre superflue, che non venivano ammonticchiate a caso, ma messe in ordine. Sì da dare l’impressione di una piccola torre dalla quale si potesse avere la visione della proprietà.
Terremoti e ricostruzioni
Dall’analisi del territorio dobbiamo fare un’altra considerazione. Le tre comunità di Linera, Cosentini e Maria Vergine, a differenza di altri centri abitati etnei, trovandosi su alcune faglie che dall’Etna giungono fino al mare, subiscono a scadenza pressoché regolare il danno di terremoti di forte intensità. Nel libro sono descritti gli eventi documentati e gli sforzi non indifferenti fatti dalla popolazione per ricostruire edifici pubblici e privati.
Quali riflessioni possiamo fare partendo dal rapporto popolazione/territorio per definire l’identità delle tre comunità prese in esame nel libro? Anzitutto dobbiamo segnalare il coraggio nell’affrontare una sfida impossibile con il vulcano e la capacità di affrontare enormi sacrifici; poi la determinazione nel raggiungere gli obiettivi fissati, nonostante gli oneri che comportano. Ma non dobbiamo sottovalutare un atteggiamento di ottimismo e di speranza verso il futuro. La volontà di ricominciare da capo, dopo l’ultimo terremoto del 2018, è la conferma di questi rilievi.
Costruire le comunità
Un secondo elemento possiamo dedurre dal volume di padre Giovanni per definire l’identità della popolazione dei tre centri abitati: l’indicazione del percorso compiuto da persone di diversa provenienza, di diversa estrazione sociale e culturale per formare tre comunità, che per alcuni aspetti si somigliano, ma per altri si distinguono.
Sappiamo tutti che c’è differenza tra una folla e una comunità. La folla è costituita da persone che non si conoscono, non hanno altri contatti al di fuori di quello momentaneo, che le ha spinte a convergere in un posto. La nozione di comunità, nel contesto del nostro discorso, esige che persone di provenienza, di condizione e di cultura diverse, vivendo nello stesso luogo, sviluppino molteplici relazioni interpersonali, siano disponibili all’aiuto reciproco, nel rispetto delle competenze di ognuno promuovano insieme iniziative idonee per il bene comune. In questo schema sommario della comunità dobbiamo introdurre il concetto della gradualità e della crescita: occorre del tempo, bisogna superare ostacoli di diversa natura, difficilmente si potranno raggiungere alti livelli di intesa e di comunione.
L’iniziativa di procedere alla bonifica di terreni sciarosi comportava il reclutamento di lavoratori di diversa competenza, disposti a trasferirsi stabilmente sul luogo di lavoro. La residenza nello stesso luogo, la dipendenza da un unico datore di lavoro e l’impegno a realizzare il progetto del proprietario con il contributo di tutti, creava già un primo genere di rapporti interpersonali. Altre iniziative analoghe esistevano già nella zona o si sarebbero aggiunte successivamente. Una secondo tipo di rapporti interpersonali nasceva dalla necessità di istaurare relazioni con le persone che lavoravano nei terreni degli altri proprietari della zona È su questo secondo tipo di rapporti che dobbiamo fare alcuni rilievi.
Ricostruire il passato guardando al presente
Quando si cerca di ricostruire il passato, il primo errore che occorre evitare è quello di proiettare all’indietro i modelli culturali e sociali del momento storico in cui viviamo. Le condizioni socioeconomiche e culturali in cui viviamo oggi sono molto diverse di quelle degli anni in cui si formarono le tre comunità di Linera, Cosentini e Maria Vergine.
Per ambientarci nel passato, cerchiamo di fare alcune puntualizzazioni: la quasi totalità delle persone che si trasferirono in questa zona, escludendo i proprietari appartenenti all’aristocrazia o alle famiglie più abbienti, era analfabeta, perché non esisteva ancora l’obbligo scolastico e non erano state istituite scuole primarie e secondarie pubbliche.
Le uniche scuole esistenti erano quelle private, gestite dai religiosi nelle città, ed erano frequentate dai figli delle famiglie abbienti; in questa zona dell’Etna non c’era un sistema di strade che favoriva i movimenti di persone e di cose; non c’era acqua corrente, energia elettrica, luoghi dove socializzare e svagarsi.
L’unico luogo in cui tutti avrebbero potuto incontrarsi era la chiesa. Ma la chiesa non era solamente uno spazio aperto a tutti per l’esercizio del culto e per soddisfare il precetto della messa festiva. Era il luogo in cui tutti potevano incontrarsi per vivere insieme i momenti di gioia e di lutto; in cui si riceveva un minimo di istruzione e formazione per la vita civile e religiosa; dove erano state istituite confraternite e associazioni cristiane abbastanza partecipate dai fedeli; in cui di tanto in tanto si tenevano spettacoli religiosi e annualmente si celebrava la festa del patrono.
Erano le campane della chiesa che, oltre ad invitare alla preghiera, scandivano i ritmi della vita quotidiana del centro abitato. Al mattino davano la sveglia, poi davano il segno di mezzogiorno, un’ora prima del tramonto segnavano la fine del lavoro e il rientro a casa per il pasto principale della famiglia. Pertanto nelle condizioni di vita di quel periodo storico, la chiesa ha svolto un ruolo fondamentale per trasformare una massa informe di persone in una comunità.
La nascita delle chiese padronali
C’era però un problema, che nel volume di padre Giovanni, può essere considerato centrale: l’esistenza di chiese padronali, il cui cappellano era indicato al vescovo dal proprietario.
Come e perché erano nate le chiese padronali e quale ruolo svolgevano all’interno del territorio? Fra i diversi proprietari, che avevano bonificato ampie estensioni di terreno, c’era un forma di concorrenza non soltanto sul piano economico, ma anche su quello del prestigio.
Se si tiene conto di ciò che ho detto sul ruolo di socializzazione svolto dalla chiesa tra gli abitanti dei centri di nuova formazione, è facile dedurre che la via più sicura per acquisire prestigio e potere era quella di costruire sul proprio territorio una chiesa aperta a tutti gli abitanti della zona.
Come mai le autorità ecclesiastiche accettavano di aprire al culto pubblico le chiese costruite all’interno delle proprietà private? Perché occorreva provvedere all’assistenza religiosa dei fedeli in un determinato territorio. Un vescovo non aveva le risorse per costruire e arredare gli edifici sacri, per offrire al cappellano il sostentamento e l’alloggio nel vasto territorio della sua diocesi.
Quindi doveva suo malgrado accettare la proposta di aprire al culto pubblico una chiesa che un privato aveva costruito a proprie spese. L’aveva fornita degli arredi necessari e si impegnava a dare al cappellano alloggio e sostentamento, ponendo come sola condizione il diritto di presentare una persona di suo gradimento per l’ufficio di cappellano.
È facile intuire gli aspetti negativi delle chiese private; il cappellano, che di solito era un parente del proprietario, si considerava un suo dipendente, non poneva ostacoli all’attuazione dei suoi programmi e si guardava bene dal contrastarlo. Invece di improntare la sua azione pastorale al bene comune e di acquisire una mentalità aperta, faceva propria la logica aziendale del proprietario.
A Linera, Cosentini e Maria Vergine le chiese erano padronali
Nei tre centri abitati di Linera, Cosentini e Maria Vergine le chiese sacramentali erano padronali. Anche se le proprietarie della chiesa di Cosentini non avevano le stesse mire di quelli delle altre due chiese. La presenza di chiese private è una delle cause che favorirono il sorgere del campanilismo; un fenomeno che creava momenti di forti tensioni. Infatti i cappellani delle tre chiese avevano la stessa mentalità e dovevano garantire gli interessi e il prestigio del proprio padrone.
Sono molte le riflessioni che potremmo fare dall’analisi del ruolo svolto dalla chiesa nella formazione delle tre comunità; ne indico solo qualcuna. Le tre nuove comunità erano costituite da persone che nei paesi di provenienza avevano ricevuto una qualche istruzione religiosa e una sommaria formazione cristiana. Si trattava perciò di creare le strutture per continuare il lavoro formativo avviato nei luoghi di provenienza.
Dai dati che ci offre il libro di padre Giovanni si può affermare che queste strutture furono create e, con tutti i limiti delle cose umane, riuscirono a creare delle comunità. Inculcando i valori umani e cristiani condivisi in quel periodo e favorendo gli incontri utili alla reciproca conoscenza e all’impegno comune.
All’inizio di questa mia conversazione ho accennato al grande principio che regge l’universo: l’evoluzione nella continuità. Questa legge si applica anche al mondo della fede, della riflessione teologica, del culto, ecc. Se accettiamo di condividere l’affermazione di Cicerone, che considera la storia maestra della vita, dobbiamo anche comprendere qual è il modo migliore di accogliere l’insegnamento che ci dà la storia. Anche sul piano della fede e della pratica religiosa.
Sapere cogliere il valore nel modello del passato
Se ci limitiamo a riproporre oggi modelli del passato, senza tener conto del momento presente e del percorso fatto da una comunità, oltre a fare un’operazione anacronistica, rischiamo di trasmettere un messaggio ambiguo, che crea confusione e conflitti. Dobbiamo cogliere invece il valore contenuto nel modello del passato. Riproponendolo però in un modello nuovo, che tenga conto delle conclusioni alle quali sono pervenute le scienze antropologiche, i biblisti, i teologi, ecc. Avviandomi alla conclusione, mi limito solamente a qualche esempio per chiarire il mio pensiero.
La calamità come castigo di Dio?
Quando padre Giovanni nel suo libro descrive le colate laviche e i frequenti terremoti che hanno interessato il territorio delle tre comunità, cercavo di immaginare il modo in cui i cappellani di quel periodo interpretavano quei fenomeni a partire dalla fede.
Il modello più frequente era quello di considerare le eruzioni e i terremoti interventi di Dio per punire i peccati degli uomini. In questa visione era necessario placare Dio con preghiere, atti penitenziali, processioni.
Questo modo di leggere i fenomeni naturali oggi, fortunatamente, sembra scomparso. È rimasta invece la prassi di portare la statua del santo patrono, il velo di S. Agata o il SS. Sacramento dinanzi al fronte lavico che minaccia un centro abitato, nella speranza di un intervento miracoloso di Dio per far cessare il pericolo.
Sono pratiche religiose sorte nel periodo in cui non si aveva ancora una corretta conoscenza dei fenomeni naturali e prevaleva la concezione di un Dio giustiziere, propria dell’Antico Testamento. Oggi dovrebbe essere condiviso il principio che Dio non castiga nessuno, perché è un Dio misericordioso verso tutti. È l’immagine che ci è stata rivelata nel Nuovo Testamento, resa di facile comprensione nella nota parabola del figlio prodigo.
Dio non contraddice le leggi dell’Universo
Quando invece preghiamo Dio di far cessare i terremoti o le eruzioni dell’Etna, non ci rendiamo conto che ci comportiamo da persone ingenue e sprovvedute. Dio non fa miracoli che contraddicono le leggi dell’universo da lui creato. Con la nostra richiesta di far cessare un’eruzione o un terremoto, gli chiediamo di trasformare l’Etna in una montagna come tante altre, che offre risorse senza fare danni; chiediamo che fermi la deriva dei continenti o i processi di formazione della crosta terrestre.
Ma l’Etna è un vulcano e fa ciò che normalmente deve fare ogni vulcano. Siamo noi gli intrusi, che abbiamo fatto la scelta di bonificare terreni e di costruire centri abitati in luoghi a rischio. Ma allora la preghiera è inutile? No, dobbiamo solamente cambiare l’oggetto della nostra richiesta. Invece di domandare un miracolo che Dio non farà mai, perché provocherebbe danni maggiori, dobbiamo chiedere che ci aiuti ad affrontare questi fenomeni naturali con una fede matura e responsabile. E che ci dia la forza di ricominciare senza farci abbattere dallo scoraggiamento.
Mi fermo qui; non vado oltre nelle mie riflessioni per non abusare della vostra pazienza.
Grazie per l’attenzione.
Adolfo Longhitano