Costa D’Avorio, don Fernandes: “La peggiore crisi umanitaria mai vissuta”

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Migliaia di morti – tra cui un massacro di 800 persone a Duekouè –, decine di migliaia di rifugiati, combattimenti violenti ad Abidjan, dove è ancora in corso, da parte dei sostenitori del vincitore delle elezioni di novembre, Alassane Ouattara, l’assedio al palazzo di Laurent Gbabgo, il presidente uscente che si rifiuta di riconoscere i risultati. Un intero Paese in profonda insicurezza e bloccato da una gravissima crisi umanitaria, nonostante l’Onu e la Francia stiano intervenendo a sostegno di Ouattara. È la situazione attuale in Costa d’Avorio, per la quale anche Benedetto XVI ha lanciato numerosi appelli alla pace e alla riconciliazione nelle ultime settimane. Il Papa aveva anche inviato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, per tentare una mediazione, ma rientrerà oggi a Roma perché, con l’aeroporto chiuso, non è stato possibile arrivare ad Abidjan. Altri tentativi di mediazione ecclesiale non hanno portato frutti. Presenti nel Paese anche i salesiani, che stanno vivendo giorni drammatici, soprattutto nella missione di Duekouè, dove sono state compiute delle stragi e sono ammassati 20-30.000 sfollati, in fuga dalle violenze. Abbiamo raggiunto telefonicamente, nella capitale assediata, il salesiano don Antonio César Fernandes, spagnolo, da cinque anni in Costa d’Avorio, da trenta in Africa. Per la sua esperienza “è la peggiore crisi umanitaria mai vissuta”. Ad Abidjan i 5 salesiani gestiscono una parrocchia, due case di accoglienza per bambini in difficoltà e un centro giovanile.

Cosa sta accadendo ad Abidjan?
“Qui è ancora in corso l’attacco al palazzo presidenziale di Laurent Gbagbo. I combattimenti sono molto duri. Abitiamo a qualche chilometro dal centro e sentiamo colpi di mortaio molto forti. Nei quartieri c’è una brutta situazione, con molta insicurezza. Da quando, venerdì 1° aprile, le truppe di Ouattara sono entrate ad Abidjan, tanta gente è scesa in strada per proclamare la vittoria. Molti giovani sostenitori di Ouattara, scorrazzando sui pick up, hanno cominciato a fare razzie: saccheggiano i negozi, incendiano i commissariati di polizia. Entrambe le fazioni sono armate, per cui c’è veramente da aver paura a girare per strada. C’è un enorme disordine, senza il controllo delle autorità”.

In che condizioni si trova la popolazione?
“C’è una grave crisi umanitaria, la gente non ha cibo né acqua. Da molti giorni hanno tolto l’acqua corrente, mancano viveri perché i negozi sono chiusi, non si può uscire perché c’è il coprifuoco, ci sono molte barricate che impediscono alle automobili di circolare. Se qualcuno è trovato in possesso di viveri, viene subito aggredito e derubato. Le strade si animano alle 6 di mattina quando finisce il coprifuoco. Si esce soprattutto per cercare acqua potabile. Se questa situazione si prolungherà avremo gravissimi problemi umanitari”.

Avete paura? Avete subito attacchi?
“Abbiamo un po’ paura, perché la situazione è di grande instabilità. In linea di massima i missionari vengono rispettati. Finora non siamo stati attaccati ma non sappiamo cosa potrebbe succedere. Abbiamo dovuto chiudere il centro giovanile perché la gente non esce più di casa. Per i bambini abbiamo rimediato dei sacchi di riso e siamo riusciti a recuperare delle riserve d’acqua. Per ora siamo fortunati perché abbiamo ancora un po’ di cibo, ma quando finirà non so come potremo andare avanti. Non ci possono inviare denaro perché le banche sono chiuse da due mesi, né beni alimentari, perché è tutto bloccato per l’insicurezza infernale nelle strade. È impossibile muoversi e far arrivare aiuti. Cerchiamo di fare qualcosa attraverso la Caritas, ma c’è una grande impossibilità ad agire”.

La situazione è ancora peggiore nella vostra missione di Duekouè…
“Sì, i sostenitori di Ouattara sono entrati in città, ci sono stati moltissimi morti, questo ha provocato una fuga di massa verso la parrocchia. Già dopo le elezioni si erano ammassati dei rifugiati intorno alla parrocchia, ora sono 20-30.000. Si trovano in condizioni molto difficili perché laggiù molte organizzazioni umanitarie non riescono ad arrivare. Non si può viaggiare per il Paese, le strade sono sbarrate, piene di delinquenti. C’è qualche infermiere, la Croce rossa, ma non ci sono viveri, né tende. Gli sfollati vivono all’aria aperta, e sono giorni che piove. Ci sono donne incinte, malati, anziani”.

A Duekouè si parla di un massacro di 800 persone il 29 marzo scorso… È vero?
“È vero. Quando i sostenitori di Outtara sono entrati a Duekouè hanno separato gli uomini dalle donne e hanno ucciso gli uomini perché pensavano appartenessero alle milizie di Gbagbo. La parrocchia è gestita da tre salesiani (un ivoriano, uno spagnolo e un togolese). Li sentiamo al telefono, anche se non hanno più elettricità, né cibo. Fanno appello ai parrocchiani per condividere un po’ di viveri. Non ci chiedono nulla perché sanno che non possiamo aiutarli. Siamo bloccati, senza risorse economiche, andiamo avanti con quel poco denaro che ci è rimasto in cassa. Ma non so quanto a lungo potremo resistere”.

Perché tutta questa violenza?
“Questa situazione ha radici lontane, e in questi cinque mesi la gente ha accumulato molto odio. È una situazione molto complessa, ci sono anche dei regolamenti di conti. C’è chi approfitta della crisi per rubare, saccheggiare, uccidere. Vi sono anche molti stupri, soprattutto all’Est del Paese. Domenica 3 aprile, vicino alla parrocchia, stava camminando una donna con il figlio sulla schiena. In quel momento passava un camion con giovani che sparavano in aria, una pallottola ha colpito a morte la donna. Per fortuna abbiamo potuto salvare il bambino. Sono episodi che capitano spesso”.

Qual è la vera ragione di questa crisi?
“Le radici di questa crisi risalgono agli anni ‘90, poi nel 2002 vi sono stati molti massacri e violenze. La vera ragione, semplificando molto, è l’opposizione di due fazioni: da una parte, i patrioti che seguono Gbagbo, che vogliono una Costa d’Avorio indipendente sul piano politico ed economico; dall’altra, i sostenitori di Ouattara, della parte Nord del Paese, gli stessi che organizzarono la ribellione nove anni fa. Ora si dice che la Francia stia appoggiando i sostenitori di Ouattara per continuare a portare avanti i suoi interessi economici. Gbagbo dice che gli altri si sono venduti alla Francia e agli Stati Uniti. I sostenitori di Gbagbo si proclamano nazionalisti, quelli di Ouattara vengono considerati ‘stranieri’. Per questo la comunità internazionale ha appoggiato Ouattara”.

Se Ouattara riuscirà a conquistare il potere la crisi finirà?
“Sì, Gbagbo è già disarmato, bloccato, non ci sono altre vie d’uscita. Ma ci vorrà del tempo. Il problema è capire cosa succederà dopo. Non si risolverà solo esiliando o catturando Gbagbo. Perché i suoi sostenitori si vorranno vendicare. Questa crisi avrà gravi ripercussioni sul piano economico e sociale, che dureranno anni”.

Vuole lanciare un appello?
“Chiediamo solidarietà e preghiere. Durante le omelie diciamo che solo la parola di Dio può unire le persone. Dopo la crisi ci sarà bisogno di molti aiuti umanitari perché la situazione è davvero catastrofica. Molta gente ha perso il lavoro. I prossimi anni saranno difficili. Avremo bisogno di un aiuto ben gestito”.

 

SIR