È al vaglio dell’Agcom la possibilità di realizzare nel nostro Paese la consegna della posta a domicilio a giorni alterni. Una vera e propria rivoluzione con ripercussioni pesantissime per i settimanali diocesani e tanti altri giornali. Si picchia, ancora e una volta di più, su quella parte d’Italia che già vive in periferia e si sente emarginata.
Costi o investimenti? Quando si parla di conti pubblici, non si sa mai da quale versante guardare le cifre. L’asfaltatura di una strada, la creazione di una nuova rotonda, l’apertura di un ospedale o la ristrutturazione di una scuola, sono tutte opere che comportano oneri a carico dello Stato. Milioni di euro che vanno segnati nelle uscite delle casse pubbliche, ma di certo marcano un più in qualità della vita, di tutela della salute pubblica, di sicurezza stradale, d’istruzione ed educazione per milioni di bambini e ragazzi.
Lo stesso tipo di domanda sta sorgendo da un po’ di tempo anche per il servizio postale. È al vaglio dell’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la possibilità di realizzare nel nostro Paese la consegna a domicilio per giorni alterni. Una vera e propria rivoluzione che vedrebbe coinvolti oltre 5.200 comuni su poco più di 8.000 e coinvolgerebbe oltre 15 milioni di cittadini. A tutta questa gente, secondo questo nuovo ideato per risparmiare sul bilancio di Poste Italiane, la corrispondenza arriverebbe una settimana al lunedì, mercoledì e venerdì e la settimana successiva al martedì e giovedì.
Detta così, senza declinarla nel concreto, non sembrerebbe neppure un fatto enorme. Ma se si pensa alla consegna a casa degli abbonati dei quotidiani e di periodici, come quelli che aderiscono alla Fisc, veri e propri quotidiani che escono una volta alla settimana, allora si comprende immediatamente la portata di una tale innovazione.
I bilanci dello Stato, lo abbiamo affermato infinite volte, non si compilano solo con le cifre. Lo abbiamo ribadito anche ieri (12 giugno) in un incontro avvenuto a Roma in cui siamo stati ascoltati da alcuni fra i più stretti collaboratori del nuovo amministratore delegato del gruppo Poste Italiane S.p.A., Francesco Caio. Ci sono voci che non aggiungono dei più ai ricavi, ma di certo vanno ad aumentare il senso di appartenenza, di solidarietà, di partecipazione.
L’informazione non è bene qualsiasi. Attiene alle basi della democrazia. Deprimerla o bastonarla non aiuta certo la convivenza nelle nostre città e nei nostri paesi. Significa picchiare, ancora e una volta di più, su quella parte d’Italia che già vive in periferia e si sente emarginata. Quella parte d’Italia in cui arriva, se e quando arriva, con fatica la Rete. Bene, in un domani assai prossimo, farà fatica ad arrivare anche la posta. E senza il servizio universale (la consegna a domicilio 5 giorni su 7) non arriveranno più tanto facilmente i nostri settimanali e tanti giornali come i nostri.
Si tratta, di certo, di un venir meno di democrazia e di libertà. Meno informazione significa minore libertà di apprendere, secondo diversi punti di vista, i fatti che accadono sia sul territorio sia a livello nazionale e nel mondo. In quest’ottica, il contributo che lo Stato da tempo versa alle Poste per coprire parte dei costi del servizio universale va considerato tra i costi o va inserito tra gli investimenti?
Senza considerare che con l’adozione di questo nuovo piano da parte di Poste, l’Italia rischierebbe una procedura d’infrazione da parte dell’Ue, come sembra sia già stato anticipato a Poste e all’Agcom in una lettera informale fatta recapitare nei primi giorni di giugno. Lettera che doveva rimanere riservata, ma il cui contenuto è stato diffuso dai media.
Se Poste, in vista di un’imminente quotazione in Borsa, è rimasta insensibile alle nostre argomentazioni più sociali e politiche, non potrà fare altrettanto il governo. L’intervento, anche in questo caso, attiene alla sfera delle scelte politiche. Quando c’è ristrettezza di risorse, occorre agire con responsabilità.
Non tiene la proposta di applicare la tariffa prioritaria. Proposta provocatoria e fuori mercato, che ha in sé già la risposta negativa. È invece il momento di decidere se mantenere in vita le voci del territorio e quelle che favoriscono il pluralismo e la democrazia. Tutto il resto, compresi i bilanci che non tornano, appare solo un’operazione contabile nella quale non si tiene conto del valore di una fitta trama di relazioni che i nostri giornali da oltre un secolo favoriscono. Mentre alcuni sembrano intenzionati a demolire, noi da lunghissimo tempo siamo impegnati a costruire. E finché esisteremo, continueremo in questa direzione.
Francesco Zanotti
presidente della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici)