“Religione ed economia: proviamo un twin set”, in altre parole la religione e l’economia possono essere un abbinamento che porta ricchezza e serenità.
Per rilanciare l’economia serve la religione: titoli e commento fin dalla prima pagina di un quotidiano nazionale di domenica 5 ottobre.
Secondo l’autore della nota, Natale e Pasqua dimostrano la validità di un’unione che porta serenità e, quindi, aiuta i consumi.
Dunque, c’è chi scopre che la religione non è più l’oppio dei popoli ma, addirittura, può risollevare l’economia dopo i fallimentari tentativi di economisti e politici.
Insomma, chi considera la religione come cosa “inutile se non dannosa a livello sociale sottovaluta in maniera irresponsabile la sinergia che potrebbe crearsi tra economia e religione. Questo matrimonio, che ancora deve compiersi, potrebbe portare in dote all’economia e quindi al Paese tutto, ricchezza, floridità e alla fine serenità in ogni famiglia”.
Riflessione singolare e ancor più originale la proposta di un Comitato scientifico laico e confessionale per l’elaborazione di “progetto di rilancio delle nostre feste”.
Segue, l’elenco delle feste religiose, oltre Natale e Pasqua, più promettenti sul piano dei consumi (Corpus Domini, Pentecoste, 1° novembre, le Domeniche d’Avvento, ecc.), ovviamente consumi interpretati nei loro aspetti più positivi e incoraggianti la ripresa economica.
Il commentatore si ferma nell’esemplificazione del connubio economia e religione “per non invadere competenze e per non offendere la suscettibilità di alcuno non vogliamo togliere lavoro alle autorità competenti”.
Ma il commentatore, vista l’arguzia con la quale scrive, forse vuole lanciare consapevolmente o inconsapevolmente una provocazione perché una persona intelligente non può quindi avere della religione un concetto debole, inconsistente, folcloristico.
A volte c’è un’intelligenza sottile dietro affermazioni che a prima vista sembrano superficiali o sciocche.
E qualora non ci fosse tocca al lettore avere un guizzo d’intelligenza per cogliere la provocazione in ciò che un altro scrive.
La felicità che la religione, in questo caso la religione cristiana, propone all’uomo non è certo quella materiale ma neppure è ad essa estranea.
La religione cristiana non scavalca l’uomo e le sue esigenze materiali ma lo accompagna nella ricerca di una felicità che non si consuma nel tempo e nello spazio.
Ai bordi della cronaca si assiste ogni giorno allo scorrere di questa ricerca.
Si assiste anche a inseguimenti della felicità che trasformano la corsa al consumo in indifferenza davanti ai più poveri, a quanti, numerosi, non possono acquistare neppure i beni più elementari. Ed è proprio qui che deve scattare non tanto la contestazione al connubio economia e religione come strada maestra verso la felicità quanto una lettura diversa dello stesso connubio, cioè della provocazione che esso esprime.
Economia è una parola cara alla religione cristiana. Non si parla, ad esempio, di economia della salvezza?
Bisogna però liberare questa parola da molte riduzioni e, in particolare, dalla sua traduzione in mercato o, peggio ancora, in “business”.
E bisognerebbe rileggere anche il pensiero di Papa Francesco nella “Evangelii gaudium”: “L’economia come indica la stessa parola, dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune che è il mondo”.
Ai bordi della cronaca anche un commento singolare sul connubio religione ed economia suscita interesse, apre a nuove riflessioni ma anche, come in questo caso, offre l’occasione per dire che la religione non è l’oppio ma neppure è la camomilla della società.
Paolo Bustaffa