Gli Stati Uniti sono alle prese con lo “shut down”, il rischio di “défault”: noi, molto più modestamente con la legge di stabilità. Nulla di comparabile, da nessun punto di vista. Ma si tratta di due aspetti di una questione che ci trasciniamo ormai dalla fine del secolo scorso e che, come le bombe a lenta combustione, comincia silenziosamente a produrre i suoi effetti: la crisi fiscale dello Stato.
Nel brevissimo termine si troveranno le soluzioni tecniche -dice un comunicato dell’Agensir-, ma i palliativi non fanno che confermare la patologia. Nel frattempo quello che tutti gli analisti da tempo prevedevano, si comincia a toccare con mano: si sta modificando la struttura sociale delle democrazie avanzate. E non certo nel senso dell’uguaglianza, così da mettere in discussione proprio le forme otto-novecentesche della democrazia.
Che ha tra i suoi fondamenti proprio il patto fiscale. In realtà, per quel che ci riguarda da vicino, il famoso limite europeo del tre per cento del debito pubblico rispetto al Pil (Prodotto interno lordo), oppure l’obbligo di pareggio del bilancio, che addirittura è stato inserito nella nostra Costituzione lo scorso anno, vorrebbero significare proprio questo: l’impegno dello Stato di comportarsi come il cosiddetto buon padre (o madre) di famiglia. Ovvero, far quadrare i conti per assicurare un presente e soprattutto un futuro sostenibile per sé e, quel che più conta, per i propri figli.
Eppure, è proprio questo che manca -continua il comunicato. Ce lo ha mostrato lo psicodramma dell’Imu e dell’Iva, che si è intrecciato con le recenti, rocambolesche vicende del sistema politico. Tutto sembra giocarsi, nella comunicazione politica – ma negli Stati Uniti è lo stesso, fatte le debite proporzioni – sul momentaneo. Cosicché, comunque vada a finire, l’unica certezza resta che l’Italia continuerà ad essere uno dei Paesi europei e del mondo (causa debito pubblico mastodontico) a più alta tassazione generale. Perché, attraverso il bricolage tra livelli (locale, regionale e nazionale) e ambiti di tassazione, la giungla fiscale, eliminato un balzello, ne produce immediatamente altri.
Per questo bisogna cominciare con piccoli passi. Ma urgenti e coerenti.
Il primo: che l’abbattimento del cuneo fiscale di cui oggi si parla sia la prima eccezione alla legge delle giungla fiscale taglia-gambe ai cittadini: non sia cioè compensato da altri tributi.
Il secondo passo non costa nulla. Se è vero che quello fiscale è uno dei patti fondanti la democrazia, e dunque anche della nostra Repubblica, ne consegue un obbligo di chiarezza. Accanto al pareggio di bilancio dovremmo scrivere se non nella Costituzione, comunque su tutti i palazzi del potere l’obbligo che sia pubblicato all’inizio di ogni anno solare il numero delle tasse che dobbiamo pagare (fa parte a suo modo della certezza del diritto) e chi ce le impone (Stato-Regione-Comune e indirette). Sarà più facile la lotta all’evasione e all’elusione e si tranquillizzeranno i cittadini onesti, che sono la stragrande maggioranza ed oggi sono non solo tartassati, ma anche spesso inutilmente vessati.
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