Il 22 aprile ricordiamo il compleanno di Nicola Sacco, anarchico italiano, condannato alla sedia elettrica ingiustamente insieme al grande amico anarchico Bartolomeo Vanzetti, il 23 agosto 1927. Chi sono questi personaggi diventati simbolo della lotta per i diritti umani? E soprattutto, perché gli Stati Uniti d’America li giustiziarono?
Sacco e Vanzetti: vite parallele
Nicola Sacco, nato a Torremaggiore nel 1891 in provincia di Foggia, terzogenito di diciassette figli, incarnò l’epopea di molti italiani che emigrarono negli USA in cerca di un futuro migliore, o del cosiddetto “sogno americano”. Approdò in una nascente America, diletto in molti lavori, fin quando si specializzò come “tagliabordi” grazie ad un corso offerto agli immigranti dal Sig. Kelley, all’epoca capo della Milford Shoe Company. Si avvicinò all’anarchismo solo dopo avere visto con i suoi occhi le ingiustizie subite dai suoi colleghi di lavoro. Da militante convinto qual era, partecipava e talvolta organizzava raccolte fondi per i suoi compagni anarchici.
Bartolomeo Vanzetti, nato a Villafalletto nel 1888, a qualche chilometro a sud di Cuneo, era il primogenito della famiglia Vanzetti. Il padre ben presto dovette decidere se mandarlo a lavorare oppure farlo continuare ad andare a scuola. Vista la situazione precaria che affliggeva l’Italia in quei tempi, Gian Battista Vanzetti scelse di mandare Bartolomeo a lavorare. Nel 1907, una pleurite lo costrinse a tornare a casa. Il periodo di guarigione passato a casa, lo ricorda con estrema felicità. Successivamente dovette affrontare un nuovo periodo oscuro, poiché la sua amata madre si ammalò. La accompagnò durante la malattia, fino a vederla morire tra le sue braccia.
Sull’orlo della depressione, Vanzetti cercò di suicidarsi molte volte, fin quando decise di andare negli Stati uniti per porre un oceano in mezzo al suo dolore. Il suo soggiorno negli USA fu piuttosto movimentato, un po’ come tutti gli italiani che approdavano in America squattrinati ed in cerca di lavoro.
L’anarchismo di Sacco e Vanzetti
Vanzetti, a differenza di Sacco, giunge negli Stati Uniti con idee radicali dovute ai libri che di solito leggeva durante le sue pause dal lavoro. Sempre colto, desideroso di colmare la curiosità. Bartolomeo scrisse molto per “Cronaca Sovversiva”, un “settimanale anarchico di propaganda rivoluzionaria”, come recitava il sottotitolo, mentre Nicola solamente una volta. Durante la loro permanenza negli Stati Uniti scoppiò la Grande Guerra.
Da autentici anarchici quali si professavano, rifiutavano la guerra e il capitalismo nascosto nella progettazione della stessa. Molti fuggirono per evitare la circoscrizione, che obbligava americani e non ad arruolarsi per combattere al fianco degli Stati Uniti entrati in guerra come alleati dell’Italia. Sacco, Vanzetti e un gruppo di militanti della zona di Boston, partirono alla volta del Messico, stabilendosi a Monterrey. Entrambi convinti militanti dell’anarchismo, erano presenti ad ogni riunione, sempre pronti a combattere per i propri ideali. Rimasero ancorati alla loro dottrina fino all’esecuzione della condanna, ribadendo che questa era ingiusta e motivata in realtà dalla loro condizione di anarchici.
La condanna di Sacco e Vanzetti
La sedia elettrica pose fine alla loro vita il 23 agosto 1927, dopo sette anni di prigione seguiti da processi-farsa. Entrambi presentati davanti alla corte del Massachussetts con l’accusa di omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio Slater and Morrill di South Braintree. Successivamente il processo prese una direzione diversa di chiara matrice politica, diventando un affaire. La corte, ormai ostinata e plagiata dalla situazione della “paura rossa” che si stava vivendo negli States, decise di condannarli alla sedia elettrica nonostante i due imputati avessero degli alibi di ferro. Inoltre, due italiani in meno, in fondo, chi li avrebbe rimpianti, considerati minoranza scapestrata e miserabile nella società USA di inizio secolo?
L’alibi di Sacco e Vanzetti
Sacco, durante il fatto di South Braintree, era andato al consolato per iniziare le pratiche che lo avrebbero riportato in terra natia, poiché in seguito alla lettera del padre, che lo esortava a tornare, aveva deciso che l’America non era un buon posto per far crescere suo figlio Dante. Nonostante la deposizione del console, i giudici valutarono comunque Sacco colpevole. Mentre Vanzetti, quel giorno, stava vendendo pesce con il suo carretto, come faceva tutti i giorni. I tentativi di fare valere la verità da parte dei compagni furono comunque vani.
Sacco e Vanzetti: le ultime parole
L’ultima deposizione prima della condanna al tribunale di Dedham ricorda le parole di Vanzetti come un macigno per chi a quei tempi lo condannò colpevole: «Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra, non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico; ho sofferto perché ero un italiano, e davvero io sono un italiano. […] Se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già».
Il 23 agosto 1977, esattamente 50 anni dopo l’esecuzione, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis emanò un proclama che assolveva i due uomini dal crimine, affermando: “Io dichiaro che ogni stigma e ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”. Questa dichiarazione non significò però il riconoscimento dell’innocenza dei due italiani. Tutt’ora il comitato Sacco e Vanzetti cerca di ottenere giustizia per entrambi gli italiani ingiustamente portati alla sedia elettrica. Ma tutti, oggi, devono sapere, in Italia, in USA e nel resto del mondo, come andarono i fatti. E con quale coraggioso ideale due italiani si batterono, affinché molti operai e lavoratori sottopagati e sfruttati in tutto il mondo potessero un giorno fare valere i propri diritti.
Verdiana Savoca