Culture / La famiglia ebraica ed insegnamenti etici (parte I)

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L’educazione e gli insegnamenti etici, non intesi come semplice osservanza di un puro legalismo, hanno un ruolo importante nella famiglia ebraica. Bisogna trasmettere infatti ai propri figli la lingua ebraica, i valori della tradizione, la morale (la distinzione tra bene e male), il pensiero ebraico, le norme igenico-sanitarie, le virtù civilizzanti.

Famiglia ebraica: insegnamenti etici per una formazione umana completa  

Parlare di questi temi infatti vuol dire anche parlare di come la Torah viene vissuta, trasmessa e tramandata. “Questi precetti li ripeterai ai tuoi figli” (Dt 6,6-9). È proprio questo il programma della vita familiare, religiosa, e non solo, che implica trasmissione e testimonianza. Infatti l’educazione ebraica si muove pienamente nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona umana, puntando ad accrescere le conoscenze religiose e laiche, coltivando ogni capacità con una disciplina che sia sostenuta con amore, per l’indipendenza e l’autostima.

Troviamo nel Talmud un’immagine eloquente che esprime benissimo questo concetto: la mano sinistra (simbolo della severità) che ammonisce mentre quella destra (simbolo dell’amore forte) accoglie; occorre infatti perseguire l’educazione  con amore e con severità.

Famiglia ebraica: il rapporto genitori e figli

Il rapporto genitore-figlio è paragonato al rapporto maestro-discepolo, perché sia il maestro che il genitore generano, fanno nascere perpetuamente, avviano l’allievo o il figlio. Per via di questo generare il popolo ebraico da continuità a se stesso. Per l’ebreo sposarsi non è solo un precetto o un fatto di successioni, ma qualcosa di più: significa garantire santità al popolo di Israele. Il rito del matrimonio si apre proprio dicendo: “Benedetto Tu, o Signore, che santifichi Israele mediante la chuppah, il baldacchino nunziale”. Attraverso il matrimonio Dio santifica il suo popolo. Segno di questa santificazione è la ketubbah, il patto nunziale, importante documento che fonda la ministerialità coniugale della liturgia domestica e costituisce la famiglia come la prima comunità di fede.

Nei due verbi “dirai” e “racconterai” di Es 19,3 (= nello Shemà) la tradizione rabbinica, in particolare il Midrash, ha individuato due riferimenti molto precisi alla testimonianza di fede della madre e del padre, dal momento che i rabbini pongono la domanda al testo: perché Dio ha detto la stessa cosa due volte, usando i sinonimi Dirai e racconterai? Poiché nella Torah non c’è nulla che sia stato scritto inutilmente, la tradizione rabbinica individua nell’espressione dirai un processo che riguarda la madre. Stabilendo un rapporto già nei 9 mesi di gestazione, divenendo così la prima testimone dei valori ebraici per i figli.

Famiglia ebraica: la figura paterna

kippah insegnamenti eticiRacconterai riguarda il padre perché attende la nascita dei figli per essere riconosciuto come tale e quindi  parlare con loro e stabilire un legame. Il padre viene poi visto come il primo maestro riguardo all’istruzione religiosa dei propri figli. Quindi la madre è la prima testimone, il padre il primo maestro. Il precetto “ne parlerai, racconterai..” non è un refuso generico, ma si diversifica tra il ruolo della madre e quello del padre che sono insostituibili: la madre non può testimoniare come fa il padre. Viceversa il padre non può testimoniare come fa la madre. La figura paterna indossa per copricapo (=la kippah) che simboleggia la mano di Dio sul capo e introduce il figlio nello studio delle Scritture. Mentre la madre lo guida nella vita spirituale ed ha un ruolo centrale nella liturgia: sia il padre che la madre aiutano il proprio figlio nel chinukh ovvero nell’adempimento dei doveri religiosi. (continua)

Riccardo Naty

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