Anche Papa Francesco, nel suo peregrinare di speranza, prima di Firenze passerà da Torino. Lo farà proprio in questi giorni, il 21 e 22 giugno, per inginocchiarsi di fronte all’icona di Cristo, al Volto del dolore, e rendere omaggio a Don Bosco, a duecento anni dalla nascita
A Firenze passando da Torino. La geografia non sempre ci aiuta. Forse, pensando alla Via Francigena, potrebbe anche avere un senso. Purché si sposi la tesi che l’antica via di pellegrinaggio partisse dalla Francia per arrivare a Roma passando tra l’altro proprio dal capoluogo piemontese. La Francigena, però, non sfiorava Firenze, ci passava al largo, da San Miniato a San Gimignano.
Verso “Firenze 2015” si può invece ben passare da Torino e dalle sponde del Po approdare a quelle dell’Arno per il Convegno ecclesiale nazionale in un’attesa e una preparazione durante la quale la culla dell’umanesimo può guardare a quell’Uomo perfetto impresso sul lino della Sindone.
Se il nuovo umanesimo si propone di trasformare l’essere umano per renderlo sempre più immagine di Dio, in quel telo (per fede, ma in gran parte anche per scienza) c’è proprio il Dio che ha amato a tal punto l’uomo da farsi carne perché nel suo volto umano l’uomo stesso riconoscesse il volto divino.
Anche Papa Francesco, nel suo peregrinare di speranza, prima di Firenze passerà da Torino. Lo farà proprio in questi giorni, il 21 e 22 giugno, per inginocchiarsi di fronte all’icona di Cristo, al Volto del dolore, e rendere omaggio a Don Bosco, a duecento anni dalla nascita.
Il Convegno ecclesiale può guardare anche a questo santo che il Volto di Cristo lo ha visto nei poveri e nei giovani, dando vita a un’azione sociale, oltre che spirituale, per troppo tempo sottovalutata. Don Bosco è il Santo della rivoluzione industriale, colui che ha visto nel lavoro dignitoso una parte significativa della realizzazione dell’uomo.
Torino e Firenze si sono passate in quegli anni anche il testimone di capitale d’Italia in un momento storico in cui l’anticlericalismo risorgimentale faceva il paio con il materialismo storico di stampo marxista. Il testimone che si passano adesso le due città è ben diverso, è quello dell’Uomo-Dio morto e risorto per la salvezza di tutti. Ma il contesto, dal punto di vista ideale, non è dissimile, forse peggiore. Le vecchie ideologie sono tramontate. Al loro posto c’è la modernità liquida, l’indefinito, l’incertezza. La persona è diventata un individuo, senza legami etici o sociali, senza valori alti, con l’unico obiettivo della libertà individuale assoluta.
Oggi più che mai c’è bisogno di un riferimento, di una certezza. C’è bisogno di riconquistare la nostra piena umanità per ridare equilibrio, giustizia e pace anche alla nostra società. C’è bisogno dell’Uomo nuovo che sta dietro il Volto della Sindone, immagine piena dell’uomo e principio di vera umanità.
In Santa Maria Novella, a due passi dalla Fortezza da Basso che a Firenze ospiterà i lavori del Convegno ecclesiale, c’è il grandioso Crocifisso di Giotto, che domina la navata sopra gli scalini che separano la chiesa inferiore da quella superiore. Si tratta di un “Cristo patiens”, di spiritualità francescana, che evidenzia il tema della passione. È l’immagine del Corpo di Cristo colto nell’istante dell’abbandono della vita, esaltata comunque dall’incarnazione divina e quindi destinata alla Resurrezione. La Sindone è in qualche modo il seguito: il Corpo martoriato ha lasciato il segno, perché non è più lì, è risorto, è salito alla destra del Padre, è nella gloria. Se n’è andato per aprirci le porte della vita eterna.
Da una parte il capolavoro di Dio impresso su un telo, dall’altra il capolavoro di un uomo ispirato da Dio dipinto sul legno di una croce. Anche così si arriva a Firenze passando da Torino.
Andrea Fagioli