Datagate & dintorni: tutti spiati… Nessuno spiato

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Due elementi strutturali risaltano: il rapporto tra gli Stati Uniti e i suoi alleati e partner resta asimmetrico, la necessità della responsabilità e del controllo nell’utilizzo delle nuove tecnologie da parte degli Stati e dei governi.

Siamo tutti sotto sorveglianza. Come Pollicini dei tempi post-moderni ogni volta che ci connettiamo lasciamo tracce indelebili dietro di noi. Per non dire delle possibilità pressoché infinite di ascolto con tecnologie poco invasive. Per questo il cosiddetto “Datagate” non ci può sorprendere. Semplicemente certifica che quello che vale per i cittadini qualunque vale anche per gli Stati.
Siamo tutti sotto sorveglianza. Per carità, una sorveglianza discreta, anzi, accattivante, come lo sono le utilissime tecnologie telematiche. Ormai non se ne può fare a meno, tante possibilità ci assicurano. Ma, così come abbiamo l’illusione, grazie alle meraviglie di mezzi sempre più intelligenti e “smart”, brillanti, simpatici, di essere sempre connessi e fare tutto “in tempo reale”, così tutti possono sapere pressoché tutto di noi con altrettanto tempismo.
.I servizi di informazione Usa hanno organizzato una rete che ascolta tutti i principali governi, a partire da quelli “amici e alleati”. Non si sa mai: gli alleati sono anche rivali, magari solo sul piano commerciale. E’ un caso riprovevole, certo, ma ben difficilmente potrà avere conseguenze. Giustamente protesteremo un po’, anche perché ce n’è motivo e gli Usa cercheranno di spiegare. Ma è ben difficile creare procedure di autentica garanzia della privacy. Varrebbe solo la vecchia legge delle contromisure, ma è molto difficile. La posizione di chi deve schermare è tecnicamente molto più ardua di chi invece intende ascoltare.
Allora, in attesa di altri possibili sviluppi, due elementi strutturali risaltano.
Il primo è la persistente asimmetria delle forze. Il rapporto tra gli Stati Uniti e i suoi alleati e partner resta asimmetrico, nonostante tutto, nonostante la globalizzazione e la crisi, anzi, proprio nel quadro della globalizzazione e della crisi. Che poi gli Stati Uniti siano in grado di utilizzare proficuamente la massa di informazioni che sono in grado di drenare da tutto il mondo, per il proprio interesse e per il bene collettivo, è altra cosa. Ma la disponibilità di mezzi è evidentissima. Ne consegue che per l’Europa in particolare – con la parziale eccezione della Gran Bretagna, che, nonostante tutto, sempre si culla nel “rapporto speciale” – una duplice necessità: di fare massa e a partire da questo ri-articolare sempre un rapporto che resta necessario e fondamentale.
C’è poi il problema di quelli che con espressione dotta si chiamano gli “arcana imperii”, ovvero il lato coperto, indicibile, dell’azione di governo. Che oggi usa le tecnologie come prima si serviva di mezzi più antichi e tradizionali. E’ sempre un problema di responsabilità e di controllo, come stanno riconoscendo il presidente ed il governo degli Stati Uniti.
E’ vero, in conclusione, che le tecnologie “smart” possono molto servire allo sviluppo della democrazia. Ma anche concedono molto ai macchinoni centralizzati. Per questo occorre vigilare molto e ben vengano tutte le iniziative che illuminano settori, grandi o piccoli, di un orizzonte opaco.

Francesco Bonini

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