“La richiesta sempre più massiccia da parte delle strutture pubbliche, che combattono la lotta all’evasione o le illeicità nei settori della previdenza e dell’assistenza sociale, di poter accedere ai dati personali dei cittadini” e la possibilità per queste strutture, stabilita per legge, “di ricevere alcune informazioni indipendentemente da ogni indagine, sia pure solo preliminare, nei confronti degli interessati” sono “strappi forti allo Stato di diritto e al concetto di cittadino che ne è alla radice”. A lanciare la provocazione è stato il Garante per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti, presentando ieri a Roma il volume “Sette anni di protezione di dati in Italia”. Il Sir ha rivolto a Giovanni Giacobbe, docente emerito di diritto privato alla Lumsa, alcune domande sul rapporto tra cittadini e fisco.
Per combattere l’evasione, è sempre più frequente la richiesta di poter accedere ai dati personali dei cittadini: come giudica la preoccupazione del Garante?
“A meno che non si abbia presente qualche caso particolarmente eclatante, in linea generale la preoccupazione del Garante mi sembra un po’ eccessiva. E’ vero, infatti, che c’è un diritto costituzionalmente garantito alla privacy, ma c’è anche l’obbligo nella Costituzione, imposto a tutti i cittadini, di concorrere alla spesa collettiva attraverso il pagamento delle imposte. Se l’accertamento dei dati personali è finalizzato esclusivamente alla verifica dell’adempimento di questo obbligo, e non viene effettuato per altre finalità, come ad esempio la divulgazione dei dati stessi al di fuori del processo di accertamento, non c’è nessuna lesione della privacy”.
Qual è il confine tra il diritto del cittadino a vedere rispettata la propria privacy e il dovere dello Stato di tutelare la cosa pubblica?
“In materia di lotta all’evasione fiscale, nessuna attività di ‘controllo’ da parte dello Stato è propriamente illecita, a meno che non sia particolarmente invasiva. Nel caso, ad esempio, che le forse dell’ordine entrino in una abitazione privata senza un ordine di perquisizione, si verifica certamente un illecito. Quando, invece, si effettuano controlli sui conti bancari o sulle spese che il cittadino fa, arrivando a identificare i proprietari di auto di gran lusso o di yacht, l’indagine è legittima. La condizione essenziale da rispettare è che deve trattarsi, in tutti i casi, di indagini finalizzate solo allo scopo dell’accertamento della presenza o meno di violazioni. Se invece i dati vengono pubblicati per altri scopi – come avviene ad esempio per le intercettazioni divulgate a mezzo stampa – allora siamo in presenza di attività illecite”.
Siamo un Paese con una pressione fiscale che supera il 45% e con un livello di evasione molto alto: il fatto che la pressione fiscale gravi sempre sui “soliti noti” può generare insofferenza?
“Certamente. Il pagamento delle imposte è accettato quando è diffuso tra tutti i cittadini: nel momento in cui coloro che pagano le tasse sono una minoranza, non è tollerabile che alcuni paghino e altri no. A mio avviso, si dovrebbe rispettare il principio costituzionale della progressività, in nome della quale si ridurrebbe la percentuale di imposte sui redditi più bassi e si aumenterebbe quella sui redditi più alti. Non è ammissibile che chi guadagna 20 milioni di euro paghi le tasse nella stessa misura in cui le paga chi guadagna 200 mila euro”.
In questa fase di crisi, i cittadini chiedono più “trasparenza”, ad esempio sugli stipendi dei politici, e poi magari protestano per i troppi controlli del fisco: non c’è contraddizione?
“Personalmente sono contrario alla demonizzazione della politica e all’attacco alla ‘casta’. Lo trovo un pericoloso, perché l’avvento di ogni dittatura è stato sempre preceduto da atteggiamenti del genere. Che poi ci siano stati abusi, è fuor di dubbio. La richiesta di una maggiore trasparenza per chi svolge un ruolo pubblico mi sembra un’esigenza giusta. Non andrebbe, però, rivolta però solo a politici, ministri o funzionari pubblici, ma anche ai manager privati. Il manager di una grande impressa, infatti, pur essendo un privato svolge un ruolo di rilevanza pubblica. Ad esempio, le grandi imprese che si avvalgono della cassa integrazione, gravando sui cittadini per sopperire alle loro difficoltà, poi magari sono guidate da manager che percepiscono stipendi iperbolici…”
La lotta all’evasione fiscale è una delle priorità del governo Monti, legata all’emergenza in cui si trova il Paese. Ci possono essere altri “accorgimenti etici” da promuovere, per favorire il dovere civico di pagare le tasse?
“Ci vorrebbe una vera e propria mobilitazione culturale, che parta dalle scuole elementari per arrivare all’università. Siamo in presenza, infatti, di una cultura che non dico legittima il non pagare le tasse, ma che utilizza ad esempio gli strumenti del diritto per realizzare una situazione che consenta di evadere la progressività delle imposte. Considerando tutto ciò un fatto lecito, mentre culturalmente e moralmente non lo è. C’è in Italia un disinteresse verso ciò che è pubblico, perché non si comprende che il pubblico è privato, e che se si dilapidano le risorse pubbliche si dilata anche il mio patrimonio. Di qui la centralità della questione educativa, ambito in cui la Chiesa è maestra, e vanta una tradizione invidiabile da recuperare e incentivare, attraverso un’alleanza con la famiglia e le altre agenzie educative”.
a cura di M. Michela Nicolais