Dentro la Tv / Caccia al mostro: il caso di Loris Stival rimette in moto l’invadente macchina informativa

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 Il pessimo copione si ripete con troppa, regolare puntualità, in ogni caso di cronaca nera. Stavolta è successo con l’infanticidio del piccolo Loris Stival, il bambino di 8 anni ucciso il 29 novembre scorso a Santa Croce in Camerina. La curiosità popolare verso l’assassinio di un bambino, soprattutto se alimentata dal sospetto che sia avvenuto “in casa”, attira naturalmente la curiosità popolare ed è un fattaccio destinato inevitabilmente a diventare notizia. Ma la speculazione mediatica è un’altra cosa.

Il copione ripetuto è quello della spettacolarizzazione del delitto, che immediatamente richiama sul luogo decine di giornalisti e loris stivaldi telecamere perennemente puntate su tutti i protagonisti veri o presunti della vicenda. La quantità di riflettori accesi è inversamente proporzionale alla possibilità per gli inquirenti di lavorare tranquilli in cerca di assassino e movente. Verrebbe da dire che più i media illuminano la vicenda, meno si riesce a far luce sugli effettivi contorni di realtà.

L’indignazione popolare è un sentimento naturale e il fatto che di fronte a un delitto ci si scandalizzi e si inorridisca è segno di “sanità sociale”. Da qui a speculare sulla cronaca nera ci dovrebbe essere un lungo passo. Invece, puntuale, l’assalto al paese e ai suoi abitanti è scattato inesorabile, come pure l’accampamento permanente delle troupe televisive davanti alla casa in cui Loris abitava e in giro per l’intero paese.

In casi come questi, anche gli abitanti del luogo diventano più vulnerabili, sia per una sorta di insicurezza della civile convivenza che li assale, sia perché loro stessi sono i primi a cercare spiegazioni a un gesto che appare ancora più insano se coinvolge parenti stretti della vittima nelle vesti di (presunti) autori. Di questa vulnerabilità troppo spesso approfittano i “giornalisti d’assalto” (non tutti sono così, ma molti purtroppo sì) imbeccati a trovare qualche particolare o dettaglio che i colleghi delle altre testate non hanno per poterli bruciare sul tempo nel lancio della notizia.

La circolazione impazzita di contenuti in un sistema che – grazie alla rete e alle testate televisive di informazione continuativa, 24 ore su 24 – diffonde le notizie in tempo reale fa il resto, immettendo immediatamente nel circuito informativo anche le indiscrezioni, le ipotesi o le pure semplici fantasie. Tanto si fa sempre in tempo a correggere il tiro, nel successivo lancio online… Ma intanto la notizia prende forma e, rimbalzando qua e là (le testate fanno a gara a non prendere un “buco”, quindi si inseguono nelle ripetizioni), diventa sempre più “vera” agli occhi dei destinatari, a prescindere dalla sua effettiva verificabilità.

Un’altra parte di distorsione si lega al trattamento del caso, che diventa subito un giallo a puntate e che alimenta non soltanto le aperture dei telegiornali, ma anche i – cosiddetti – programmi di approfondimento del genere, da “Chi l’ha visto?” (Rai 3) a “Quarto grado” (Rete 4), passando naturalmente per il salotto di “Porta a porta” (Rai 1). Il problema, anche in questi casi, non è “se” se ne parla, ma “come” se ne parla. Supposizioni, ricostruzioni più o meno fondate, interpretazioni fantasiose e il consueto parere di esperti tuttologi che ragionano in astratto senza elementi di concretezza alimentano il chiacchiericcio e non servono a capire meglio cosa sia veramente successo.

Bisognerebbe spegnere i riflettori, lasciar lavorare tranquilli gli inquirenti e le forze dell’ordine, non alimentare un clima giù sovreccitato per la gravità del fatto e riferire soltanto le certezze acquisite e comprovate. Bisognerebbe anche utilizzare il condizionale laddove non si tratti di circostanze dimostrate. Ma lo spettacolo, purtroppo, impone un’altra condotta.

Marco Deriu

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