Quando i bambini fanno “oh” dietro un microfono acceso, gli adulti si incuriosiscono. E spesso s’inteneriscono pure. E così ascoltano, guardano e – soprattutto – incrementano l’audience, per la felicità di produttori televisivi e inserzionisti pubblicitari. Basterebbe questo per giustificare la messa in onda di “Ti lascio una canzone” (Rai 1, sabato ore 21.10), il talent show affidato ad Antonella Clerici giunto quest’anno all’ottava edizione.
Il programma è una gara musicale che dovrebbe avere per protagoniste “le più belle canzoni della storia della musica italiana” ma in cui, in realtà, a competere fino all’ultima nota sono i giovani interpreti che le eseguono: ragazzi canterini fra i 10 e i 16 anni che, puntata per puntata, propongono successi che spaziano dagli anni Cinquanta al Duemila. In studio una giuria di esperti del settore assegna il premio di qualità per la migliore interpretazione, a casa il pubblico esprime le sue preferenze con l’immancabile televoto.
Pare che il format nostrano sia piaciuto anche all’estero e questo ha generato un – raro – caso di esportazione da parte della tv italiana. Nel dicembre 2008 è andato in Portogallo per 3 puntate sulla rete privata nazionale, sotto il titolo “Uma cancão para ti”, raggiungendo addirittura uno share del 60% e attestandosi nella seconda serie intorno al 50%. Successivamente è stato trasmesso anche in Turchia con il titolo “Bir Şarkısın Sen” ottenendo anche in quel Paese ascolti lusinghieri.
Nonostante questo, “Ti lascio una canzone” continua a destare molte perplessità. Non di rado le esibizioni dei ragazzi sorprendono, sia per la loro bravura tecnica sia per le pose da affermate star che esibiscono insieme alle loro abilità canore. Se davvero lo scopo fosse quello di premiare le canzoni migliori, la giuria e gli spettatori dovrebbero ascoltare a occhi chiusi i giovani cantanti. Costoro, invece, son ben consapevoli che nello show system contemporaneo l’immagine è molto, a volte addirittura tutto. E così sembrano preoccupati di non sbagliare le loro movenze sul palco quasi più dei brani da eseguire.
Da una gara canora fra giovanissimi ci si aspetterebbe un’atmosfera rilassata e divertente, amichevole e festaiola. Qui, invece, la tensione comunicativa è alimentata dall’evidente ansia da prestazione dei concorrenti e dei loro genitori, cui si aggiunge una evidente innaturalezza – se così possiamo chiamarla – del loro modo di stare in scena, troppo fortemente segnato da un costante scimmiottamento degli adulti nelle movenze, negli atteggiamenti e, perfino, nelle espressioni facciali.
Ne risulta un programma in cui sembra di assistere alla performance di ragazzini ammaestrati, che di spontaneo mostrano ben poco. Quanta distanza fra questa proposta e il caro, vecchio “Zecchino d’Oro”! Certo, il confronto fra i 10-16enni e i bambini più piccoli è impari, ma a far la vera differenza fra i due programmi è il clima dentro cui la gara canora si svolge. E naturalmente il programma dell’Antoniano di Bologna stravince.
Marco Deriu
(Fonte: AgenSir)