Nuovo rapporto di Amnesty denuncia le “agghiaccianti e inumane condizioni delle strutture detentive” in Siria, grazie alle testimonianze di 65 sopravvissuti alla tortura. Luther: campionario di orrori.
Sono 17.723 le persone morte in carcere in Siria dal marzo 2011, l’inizio della crisi: una media di oltre 300 morti al mese. Lo denuncia il rapporto “Ti spezza l’umanità. Tortura, malattie e morte nelle prigioni della Siria”, diffuso oggi da Amnesty International, che parla di “crimini contro l’umanità commessi dalle forze governative di Damasco” e ricostruisce le condizione di detenzione grazie alle testimonianze di 65 sopravvissuti alla tortura. Nei decenni precedenti il 2011, l’organizzazione aveva riscontrato una media di 45 decessi in carcere all’anno, ossia tre o quattro al mese.
Da questi racconti, sottolinea l’organizzazione, emergono le “agghiaccianti e inumane condizioni delle strutture detentive gestite dai vari servizi di sicurezza siriani e nel carcere militare di Saydnaya, alla periferia della capitale”. La maggior parte dei testimoni infatti ha riferito di aver assistito alla morte di compagni di prigionia e alcuni hanno raccontato di essere stati tenuti in celle insieme a cadaveri. I sopravvissuti descrivono i metodi di tortura: dal l dulab (“pneumatico”: il corpo della vittima viene contorto fino a farlo entrare in uno pneumatico) e la falaqa (“bastonatura”, pestaggi sulle piante dei piedi), ma anche le scariche elettriche, lo stupro, l’estirpazione delle unghie delle mani o dei piedi, le ustioni con acqua bollente e le bruciature con sigarette.
“Il campionario di orrori contenuti in questo rapporto ricostruisce in raccapriccianti dettagli le violenze da incubo inflitte ai detenuti sin dal momento dell’arresto e poi durante gli interrogatori, svolti a porte chiuse all’interno dei famigerati centri di detenzione dei servizi di sicurezza siriani: un incubo che spesso termina con la morte, che può arrivare in ogni fase della detenzione”, spiega Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
“Da decenni le forze governative siriane usano la tortura per stroncare gli oppositori. Oggi viene usata nell’ambito di attacchi sistematici contro chiunque, nella popolazione civile, sia sospettato di non stare dalla parte del governo. Siamo di fronte a crimini contro l’umanità, i cui responsabili devono essere portati di fronte alla giustizia. – aggiunge – I paesi della comunità internazionale, soprattutto Russia e Stati Uniti che condividono la direzione dei colloqui di pace sulla Siria, devono mettere questo tema in cima all’agenda delle discussioni tanto col governo quanto coi gruppi armati e sollecitare gli uni e gli altri a porre fine alla tortura”.
Amnesty International chiede il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza. “Tutti gli altri detenuti dovrebbero essere sottoposti a un giusto processo in linea con gli standard internazionali oppure rilasciati. – dichiara in una nota – Osservatori indipendenti dovrebbero poter visitare immediatamente e senza ostacoli tutti i centri di detenzione”.
La maggior parte dei sopravvissuti ha raccontato ad Amnesty che le torture iniziano al momento stesso dell’arresto e durante il trasferimento nei luoghi di detenzione. Qui, all’arrivo, i detenuti sono sottoposti al cosiddetto haflet al-istiqbal (“festa di benvenuto”: duri pestaggi, spesso con spranghe di silicone o di metallo e cavi elettrici). “Ci trattavano come bestie. Volevano raggiungere il massimo dell’inumanità. Ho visto sangue scorrere a fiumi. Non avrei mai immaginato che l’umanità potesse toccare livelli così bassi. Non si facevano alcun problema a uccidere persone a casaccio”, racconta Samer, un avvocato arrestato.
Gli ex detenuti parlano di sovraffollamento, mancanza di cibo e di cure mediche e insufficienza di servizi igienico-sanitari, una condizione che secondo Amnesty “costituisce un trattamento crudele, inumano e degradante, vietato dal diritto internazionale”.