Ogni uomo sin dall’inizio dei tempi ha rivolto gli occhi al cielo per osservare la volta celeste. Soprattutto nelle ore notturne è immaginabile mirare un cielo stellato, e qualche volta è capitato che l’uomo abbia adempiuto all’evenienza del desiderare. Quindi, mediante antropos, o άνϑρωπος in greco antico, l’equivalente di “guardante in sù”, l’umanità ha “de-siderato”, (dal lat. desiderare, der. di sidus -ĕris ‘stella’, col pref. de-: ‘interrogare le stelle’ – prima metà sec. XIII), ossia ha manifestato l’intenzione di petere o chiedere alle stelle, il raggiungimento di obiettivi, sogni o desideri.
Così, è nella natura intrinseca dell’uomo creare una liaison tra il proprio sé e l’universo stellato e notturno. Quasi, in quell’oscurità, fosse possibile rintracciare le fila che legano l’inusitato al reale e all’alacrità di “desiderare”. La premessa antropologica qui congetturata si pone ad arte per presentare un evento che rispecchia la volontà di “desiderare” un futuro socialmente condiviso, per il bene delle comunità.
“Desiderabili futuri. Senza disuguaglianze, per un mondo sostenibile”.
Si parla adesso del festival “Desiderabili futuri”, tenutosi in giugno ad Oristano in Sardegna, con l’idea di creare valori aggiuntivi per il mondo della cooperazione attiva sul territorio.
Gli enti promotori – Legacoop Sardegna, Forum Disuguaglianze e Diversità e Dromos Festival, con il sostegno di Legacoop Nazionale e ASviS – allineano, in tal caso, i loro intenti sull’idea comune di un festival «cooperativo».
Si parla anche di ruoli peculiari riguardo a «Desiderabili futuri. Senza disuguaglianze, per un mondo sostenibile», per costituire una valida interfaccia tra il mondo istituzionale e amministrativo, le OO.SS. (Organizzazioni Sindacali) e il territorio. Il fine condiviso risiede nel plasmare rigenerate funzioni economico-sociali, valevoli per le genti e i luoghi in cui sussistono le imprese cooperative. Queste realtà, oltre ad assolvere a specifiche finalità e “desideri”, devono volgere l’attenzione allo sviluppo equo-sostenibile-inclusivo-partecipato. In aggiunta al “cooperare”, si devono poi ripensare metodi/strumenti per definire cambiamenti possibili.
Dal processo di civilizzazione alle disuguaglianze sociali
Nel lungo processo di civilizzazione sperimentato dall’umanità, si è attraversato lo stato di natura, per giungere alla nascita delle scienze politiche e districare i rapporti individuo-società. Si passa, invero, dal giusnaturalismo di Ugo Grozio (1583-1645), che evidenzia la differenza tra leggi di natura, fondanti il diritto, e positive.
In tal contesto, l’uomo come già esperito in una visione aristotelica (Politica, IV sec. a. C.), viene assimilato ad un animale sociale, dunque, tendente ad aggregazione e collaborazione, regolate da leggi naturali.
Secondo Thomas Hobbes (1588-1679), teorico dell’assolutismo, l’uomo nella sua versione egoica, risponde a nessi con la società solo per interessi e pura convenienza. Da uno stadio anarchico, in cui vige la legge del più forte, inizia a configurarsi l’idea del contratto sociale, proteso a garantire la vita dei sudditi che, a loro volta, cedono le loro libertà ad un’entità sovrana: il Leviatano (1561).
Secondo John Sebastian Locke (1632-1704), padre del liberalismo, l’uomo allo stato di natura è soggetto ad invidie e rivalse che scaturiscono nella sopraffazione del più debole.
E tuttavia, l’uomo mostra propensione sociale qualora venga coinvolto in attività ove emergano finalità comuni. Così, in tal contesto, l’aggregazione per affinità di scopo vale il contratto sociale. Si elimina il diritto alla vendetta per avere salvi tutti i diritti naturali, compreso quello della proprietà privata.
La visione di Rousseau
A seguire, una visione diversa dello stato di natura viene proposta da Jean-Jacques Rousseau (1712-1178) che, nel saggio: Origine della disuguaglianza (1745), e nel Contratto sociale (1762), si avvale della letteratura odeporica dei viaggiatori. Per Rousseau, il contratto sociale debutta con l’invenzione della proprietà privata e la successiva guerra di tutti contro tutti. Per fermare lo stato di guerra, i ricchi, al fine di godere le proprie conquiste, propongono un patto/contratto di cessate ostilità ai poveri, dando ad essi in cambio la garanzia della vita.
Nell’excursus storico, si ravvisano rudimenti e taluni prodromi normativi, per disciplinare le movenze comportamentali all’interno delle comunità conformate. Ma già, in pectore, si evincono mode di disuguaglianza, che applicano, de facto, una contrattualizzazione diffusa di convenienza con le genti. Il fine si condensa, per l’appunto, nell’evenienza di far cessare la guerra di tutti contro tutti. E di sugellare un patto/contratto in favore della garanzia della vita, conditio che fa comunque emergere elementi di diseguaglianza sociale.
Le disuguaglianze sociali e territoriali
Oggi, le forme di disuguaglianza hanno solamente cambiato indirizzo e risultano analogamente attive ed evidenti nel panorama globale. L’iniziativa intitolata “Desiderabili futuri” è divenuta “piattaforma formativa”. L’idea restitutiva si è concentrata nel creare un girotondo in cui dialogare su tematiche affini alle esigenze del tempo corrente. Si sono susseguite le voci di esperti delle scienze sociali ed economiche, nonché di rappresentanti delle istituzioni, anche militari e marittime e di giornalisti come Carlo Ciavoni (La Repubblica), Sabrina Carreras (Presa Diretta RAI 3), Maurizio Menicucci (giornalista scientifico).
Ospiti di rilievo, Andrea Morniroli, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità; Ilaria Portas, assessore della Regione Sardegna; Fabrizio Barca, economista ed ex ministro; Susanna Camusso, senatrice. Ed ancora: Piero Ignazi politologo; Simone Gamberini, presidente nazionale di Legacoop; Salvatore Corona, direttore artistico di Dromos Festival. E in più: Pierluigi Stefanini, presidente di ASviS; Riccardo Verrocchi, coordinatore nazionale Generazioni Legacoop; Ota De Leonardis, sociologa; Luigi Di Cataldo, dottore di ricerca in Scienze Politiche e assegnista di ricerca dell’Università Statale di Milano. Si cita anche Andrés Rodriguez-Pose, Princesa de Asturias professor & professor of Economic Geography, London School of Economics. Tra il pubblico partecipante, si rammenta poi la presenza del dottore di ricerca in Economia e Gestione delle Imprese e cerimonialista Efisia Fois.
Le disuguaglianze secondo Rodriguez-Pose
In chiosa, si riporta l’intervento del professore di geografia economica Rodriguez-Pose, che inquadra, in format originali, il tema delle disuguaglianze. In effetti, egli propone uno studio sul concetto di “trappola dello sviluppo regionale”. I riferimenti vanno alle regioni che affrontano sfide strutturali significative per recuperare il dinamismo passato e/o migliorare la prosperità dei loro residenti. In tal senso, Rodriguez-Pose misura il concetto di trappola dello sviluppo regionale, delineando distintive analisi per regione in Europa. In principio, il concetto si ispira alla trappola del reddito medio, confluendo dopo in teorie di sviluppo internazionale. A seguire, il concetto si amplia per verificare le supposte trappole nei paesi a reddito più alto e/o su scala regionale.
In più, per dar valenza allo studio, si adoperano appositi indicatori, riferiti a specifiche prestazioni economiche o a produttività ed occupazione. Detti indicatori sono funzionali per proiezioni all’interno delle regioni, anche in relazione al passato immediato, nonché al rapporto con altre regioni nei rispettivi paesi e in altri paesi europei. La finalità dello studio mira ad individuare regioni che si trovano in una trappola di sviluppo o che rischiano a breve termine di cadere in tale situazione. Le regioni che si trovano ad affrontare trappole di sviluppo generano rischi economici, sociali e politici a livello nazionale e/o europeo. Si configurano, in queste circostanze, nuove traiettorie inerenti alle diseguaglianze territoriali.
Aumentare la coesione dell’intera Unione Europea …
In sede UE si parla di ragionate politiche di coesione laddove i territori, unitamente ai residenti, non prosperano, tra cui anche l’Italia. Sono al vaglio dell’Unione Europea politiche di sviluppo per raggiungere maggiore coesione tra i territori dell’UE. In realtà, l’ensemble di sviluppo e coesione è obiettivo della medesima Europa, dal 1957. La politica di coesione, stante l’istituzione della CEE (Comunità Economica Europea) e del FSE (Fondo Sociale Europeo), si basa su interventi che puntano a uno sviluppo armonico dei territori, per promuovere dinamismo economico delle regioni.
Si pensa di portare le regioni meno sviluppate a tassi di sviluppo e redditi alti quanto quelle più ricche. Uno dei meccanismi atti a misurare la crescita di una regione è il PIL. In tal caso, quest’ultimo non offre dati confortanti. La mappa dell’andamento del PIL mostra una Europa a due andature. Essa viene riportata, anche, in un’apposita rendicontazione della Commissione UE, con il titolo: “La trappola dello sviluppo regionale in Europa” (fotografia del primo ventennio del XXI secolo).
(Crescita del PIL pro-capite 2001-2019. Fonte: Eighth Report on Economic, Social and Territorial Cohesion).
La “trappola dello sviluppo”
In più, l’estrinsecazione “Trappola dello sviluppo” è stata adattata allo scenario europeo 2020, per uno studio su bando europeo da parte della Commissione. Il lavoro di ricerca è stato assegnato a docenti della London School of Economics: Simona Iammarino, Andrés Rodríguez-Pose, Michael Storper e Andreas Diemer.
Ne nacque il paper accademico: “The Regional Development Trap in Europe”, 2022, pubblicato sul n. 98 della rivista Economic Geography. Nello studio redatto, la trappola dello sviluppo viene introdotta così: “Nel contesto europeo, definiamo la trappola dello sviluppo regionale come la condizione di una regione che è incapace di mantenere il proprio dinamismo economico in termini di reddito, di produttività e di occupazione, sottoperformando su questi stessi parametri, rispetto ai propri omologhi nazionali ed europei”.
Gli indici usati per le misurazioni si connotano con DT1 e DT2. I coefficienti evidenziano il livello di intrappolamento, che varia da 0 a 1 e valuta il PIL pro-capite, la produttività e il rapporto occupazione/territorio. Le variabili ottenute si pongono poi a confronto con i dati della media europea. La suddetta comparazione, a sua volta, si raffronta con dati nazionali e storici del territorio.
Uno scatto italiano sulle disuguaglianze territoriali.
Riguardo al ciclo 2021-2027, lo sviluppo regionale per l’Italia non è confortante. In tal contesto, le regioni ritenute meno sviluppate nel nostro paese sono Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Tale lista si ripete oramai quasi invariata da ben quattro cicli di programmazione. Cosa non funziona? La risposta risiede forse negli effetti di migrazione interna. Le genti che lasciano i luoghi in cui nascono e vivono, di fatto, fanno perire le dinamiche di economia e sviluppo locale e, per estensione, regionale. È urgente, dunque, mobilitarsi verso l’adozione di politiche di valorizzazione, unite a formule di riequilibro/sviluppo regionale/nazionale.
A sentire l’opinione dell’economista Fabrizio Barca, “non c’è una ricetta precisa – che continua riferendo che – i fondi della politica di coesione non bastano, da soli, a fermare e invertire l’aumento delle disuguaglianze territoriali. A meno che non vengano usati per cambiare il modo in cui vengono fatte le politiche ordinarie”.
Ricette e proposte di revisioni e migliorie per non cadere nella “trappola di sviluppo”
Necesse est invertire tendenze migratorie che decretino disuguaglianze territoriali interne e trasversali al Paese e far ripartire le economie locali. La capacità di coesione deve incentrarsi su una riveduta politica locale-regionale-nazionale, sin dalle fondamenta istituzionali e amministrative. È importante intervenire/investire sul patrimonio e sulle risorse dei luoghi coniugati, a sua volta, ad expertise dei residenti. In un’ottica evoluta, deve rivedersi il mercato del lavoro e dei sistemi di istruzione e formazione.
Ed ancora, si deve porre attenzione ai settori dell’innovazione, della governance pubblica e/o dello sviluppo delle imprese e all’accesso ai servizi territoriali. Inoltre, in un desiderabile futuro da ascrivere, sotto il cielo di ogni regione, si prospetti un riordino audace, all’insegna di politiche lungimiranti protese all’armonia. La posa della prima pietra di un desiderabile futuro si attui, dunque, a partire dai carteggi parlanti, che echeggino a riformati ruoli trasformativi e strutturali per territori e residenti!
Luisa Trovato