Sei anni fa, quando lo incontrammo la prima volta per la rubrica dei preti secolari, don Francesco Panebianco aveva da poco festeggiato il suo 70esimo anniversario di sacerdozio. Oggi, a distanza di sei anni, siamo tornati a incontrarlo per un’occasione speciale: i suoi cento anni.
Don Francesco è nato a Maugeri, frazione di Valverde, il 12 gennaio 1921 ed è stato ordinato presbitero dal vescovo monsignor Salvatore Russo il 9 luglio 1944. Ha compiuto cento anni il 2 gennaio (giorno ufficiale della sua nascita formalizzata però dieci giorni più tardi nel 1921).
Vive nella sua casa nativa di Maugeri, accanto alla chiesa di Maria SS. delle Grazie, di cui è stato parroco per cinquant’anni anni.
Il giorno dell’intervista don Francesco procede verso noi a passo lento con il suo inseparabile bastone, ci fa sapere che gli dispiace rimanere con la mascherina e chiede a me e al direttore Peppino Vecchio di farci riconoscere. Subito dopo scattiamo alcune foto: don Francesco adesso è a suo agio, si siede e poggia le braccia sul tavolo su cui è allestito un piccolo altare.
Le sue prime parole sembrano voler sin da subito riavvolgere il nastro ai primi giorni della sua vita. “Sono nato qui, in questa casa, qui dove sono nati anche i miei genitori”, precisa. È legato alla devozione di Gesù bambino e ce lo fa capire parlandoci di quando bambino serviva Messa come chierichetto. Le parole cominciano a venir fuori anche se con un comprensibile sforzo da parte sua. Ad aiutarci però c’è sua nipote Giovanna. Il resto sono gli occhi a comunicarcelo. L’intervista parte e la nostra chiacchierata nasce mentre guardiamo le foto della festa dei suoi cento anni. Mentre iniziamo stiamo fissando la foto di lui stretto a don Giuseppe D’Aquino, il nuovo parroco di Maugeri.
Questo traguardo è coinciso sfortunatamente in un momento storico particolare segnato dalla pandemia. Quindi la sua è stata una festa intima, non è così?
“Il 2 gennaio, giorno della mia nascita, ho concelebrato la messa a casa con padre Giuseppe D’Aquino. Erano presenti solo i miei familiari, in tutto sei. Per il battesimo ho benedetto i fedeli dalla finestra e a sorpresa ho ricevuto la visita del vicario padre Giovanni Mammino”.
Si aspettava così tanto affetto nei suoi confronti?
“Questa vicinanza mi ha colpito. Ho ricevuto molte telefonate e tra queste quelle dei vescovi Raspanti e Giombanco. Mi ha chiamato anche l’arcivescovo Gristina e mi ha detto che appena potrà farlo verrà a trovarmi”.
Che sensazione si prova a portare sulle spalle un secolo di vita?
“Io mi sento discretamente. Sento di aver vissuto una lunga vita. Ringrazio il Signore per avermi fatto vivere tutti questi anni come uomo, come sacerdote e come insegnante”.
Se volessimo esprimere con una frase il suo lungo percorsa di vita?
“Una frase che mi ha accompagnato sempre è ‘Vieni e seguimi’. Fondamentale per la mia vocazione è stato padre Salvatore Cavalli, un prete contemplativo”.
Un momento di gioia e uno di difficoltà che vuole condividere.
“Il momento più bello che ricordo è quello del mio cinquantesimo anniversario di sacerdozio mentre ricordo non essere stato facile lasciare i miei genitori per entrare in seminario ma poi superai questo momento con la forza della fede”.
Come trascorre le sue giornate?
“Dietro alla finestra, con il mio bastone, per me è una necessità ma anche una difficoltà perché mi dispiace non poter frequentare la chiesa. Da qui vedo passare la gente e la saluto. Poi leggo, medito e recito il Rosario”.
Il Papa dice che la vecchiaia non è una malattia ma un privilegio. Come lo si raggiunge?
“Vorrei dire a tutti, specialmente ai seminaristi, che bisogna studiare tanto e praticare la carità manifestando la bontà verso gli altri”.