In un comunicato stampa del 14 aprile scorso, la Diocesi di Acireale ha dato notizia che la Congregazione per la Dottrina della fede, con un decreto del “Collegio per l’esame dei ricorsi in materia di Delicta Reservata”, ha rigettato il ricorso di mons. Carlo Chiarenza avverso il precedente decreto del 19 luglio 2013, con il quale era stato giudicato colpevole ai sensi dell’art. 1720 del Codice di Diritto Canonico, e cioè per violazione del sesto comandamento del Decalogo (Non commettere atti impuri) con un minore di diciotto anni.
Si tratta dell’atto conclusivo di una penosa vicenda che ha coinvolto la Chiesa acese per diversi anni. Adesso la sentenza è inappellabile e definitiva e ribadisce quanto già stabilito in primo grado, confermando, sostanzialmente, le pene già comminate a mons. Chiarenza, e cioè, anzitutto, l’obbligo di dimorare per tre anni al di fuori della Metropolìa di Catania (ovvero del territorio della diocesi metropolitana di Catania con le relative diocesi suffraganee di Acireale e Caltagirone, territorio che coincide nel complesso con la provincia di Catania), in un luogo concordato tra il Vescovo di Acireale ed il Vescovo della diocesi ospitante; inoltre allo stesso mons. Chiarenza viene vietato per tre anni di celebrare in pubblico la santa messa, gli altri sacramenti e sacramentali, nonché, a vita, di amministrare il sacramento della confessione e di esercitare la direzione spirituale, ed inoltre di ricevere in futuro incarichi ministeriali che possano comportare contatto con i minori; egli viene ancora privato di ogni ufficio ecclesiastico attualmente ricoperto (salvo quanto disposto dal Vescovo in ordine al suo adeguato sostentamento); così come non potrà partecipare ad assemblee ecclesiali o manifestazioni civili e non potrà rilasciare interviste sui fatti accaduti. Mons. Chiarenza viene inoltre condannato a pene pecuniarie nella misura di 50.000 euro a titolo di risarcimento nei confronti del dott. Teodoro Pulvirenti (somma da versare entro il tempo massimo di 24 mesi dalla data della notifica del decreto di condanna) e di 4.000 euro per spese processuali, da liquidare al Tribunale Ecclesiastico Regionale Campano e d’Appello di Napoli entro due mesi dalla notifica. Nel caso in cui mons. Chiarenza non ottemperasse alle suddette pene, gli verrebbero imposte altre pene canoniche espiatorie ai sensi dell’art. 1336 del Codice di Diritto Canonico, fino alla riduzione allo stato laicale.
A seguito di questo atto che – come dicevamo – pone la parola fine ad una penosa vicenda che travagliava da diversi anni la diocesi di Acireale, si registra un assoluto riserbo da parte del Vescovo mons. Antonino Raspanti (che dovette affrontare detta situazione tra i primi atti poco dopo la sua nomina ad Acireale) e degli altri rappresentanti diocesani, mentre sono state rese alcune dichiarazioni di soddisfazione da parte del dott. Teodoro Pulvirenti (che allo stato attuale è ricercatore negli Stati Uniti), per bocca dei suoi legali e di qualcuno dei suoi familiari.
Mons. Carlo Chiarenza, originario di Aci San Filippo, ordinato sacerdote nel 1968, è stato il primo parroco della neo-costituita parrocchia di San Paolo apostolo di Acireale, restandovi dal 1972 al 1999, quando venne nominato rettore della basilica di San Sebastiano, in sostituzione di mons. Giuseppe Sciacca, che era stato chiamato in Vaticano in qualità di prelato uditore del Tribunale della Sacra Rota Romana (poi divenuto vescovo). Ha lasciato detto incarico, per disposizione del Vescovo mons. Antonino Raspanti, nel 2013, a seguito dell’accusa di pedofilia da parte di Teodoro Pulvirenti, per fatti accaduti negli anni tra il 1989 e il 1990. Nello stesso 2013, a seguito del processo canonico, mons. Chiarenza era stato condannato in primo grado, opponendo però ricorso. Dal punto di vista civile, invece, la Magistratura ha archiviato il procedimento per prescrizione dei termini. Questo decreto di rigetto del Tribunale d’Appello della Congregazione per la Dottrina della fede chiude adesso definitivamente la questione.
Da parte nostra crediamo che la migliore deduzione finale possa essere tratta dalla stessa conclusione del comunicato stampa della diocesi, dove si dice che “Ora rimane affidato alla preghiera di ogni persona di buona volontà esprimere la vicinanza alla vittima e accompagnare il percorso penitenziale del sacerdote.”
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