Disabilità e abbandono / Il suicidio assistito di Loris Bertocco interroga… Al dolore si risponde con l’amore

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Dolore sincero e infinita tristezza per la notizia di un ennesimo suicidio assistito, ma questa volta non basta!
Si tratta di Loris Bertocco, 59 anni, morto qualche giorno fa in una clinica di Zurigo. Prima di togliersi la vita, ha voluto narrare la propria vicenda attraverso la pubblicazione di un memoriale diffuso dai media.
A 19 anni, Loris rimane vittima di un banale incidente stradale che, negli anni, lo porta progressivamente alla paralisi completa. In questo percorso di sofferenza, altre patologie si sommano alla sua già difficile condizione, inclusa una forma ingravescente di cecità. Loris ha ovviamente bisogno di continua assistenza qualificata e, a più riprese, le istituzioni erogano a suo favore alcuni servizi previsti, non sufficienti però a sostenere i suoi reali bisogni. Loris, quindi, deve far fronte ai suoi bisogni con le proprie risorse economiche, fin dove esse glielo consentono.
Eppure, lungo questo “calvario” Loris non rinuncia ad una vita attiva – compatibile con le sue possibilità fisiche – e socialmente impegnata. Il sociologo veneziano Gianfranco Bettin, uno dei suoi più cari amici, lo descrive così: “Animatore culturale fin da ragazzo, per decenni aveva condotto trasmissioni musicali e politico-culturali nelle radio libere venete. Era un ambientalista convinto, tra i fondatori dei Verdi italiani non aveva mai smesso di partecipare a lotte sia territoriali che di portata globale: contro il nucleare e i mutamenti climatici, per la riconversione ecologica, per la pace”. Loris non molla e non si piange addosso, ma vive la sua vita mettendo in gioco le sue risorse umane, nonostante le enormi difficoltà che incontra.
E non rinuncia neanche ad una vita sentimentale. Dodici anni di matrimonio con Anamaria e poi, con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, la decisione della moglie di separarsi da lui.
Dolore che si aggiunge al dolore. Loris continua a lottare e a chiedere aiuto alle istituzioni, ma non ottiene di più. Alla fine, la dura e lunga infermità, l’insufficienza dei mezzi assistenziali, le “ferite” interiori personali lo fiaccano: Loris cede e abbandona la sua battaglia per la vita.
Si legge nel suo memoriale: “Il muro contro il quale ho continuato per anni a battermi è più alto che mai e continua a negarmi il diritto ad una assistenza adeguata. […] Perché è così difficile capire i bisogni di tante persone in situazione di gravità, perché questa diffidenza degli amministratori, questo nascondersi sempre dietro l’alibi delle ristrettezze finanziarie, anche quando basterebbe poco, in fondo, per dare più respiro, lenimento, dignità?”.
Un vero pugno nello stomaco, per una società che si definisce “civile”, ma non riesce a dare risposte adeguate e supporto sufficiente a chi soffre davvero. Sarebbe servito nel caso di Loris? Forse, non lo sappiamo, ma le sue parole indicano che nel suo intimo restava una porta aperta: “Sono convinto che, se avessi potuto usufruire di assistenza adeguata, come ho già detto, avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei magari rinviato di un po’ la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze. Ma questa scelta l’avrei compiuta comunque, data la mia condizione fisica che continua progressivamente a peggiorare e le sue prospettive”.
Forse sì, Loris. Ma dolore sincero e infinita tristezza per la tua decisione di ricorrere al suicidio non bastano. Piuttosto ci inchioda alle nostre responsabilità il tuo grido d’aiuto rimasto di fatto inascoltato, il tuo bisogno di solidarietà fattiva che non ha trovato adeguata risposta nella comunità civica. Oggi comprendiamo lucidamente che “bisognava” fare di più nei tuoi confronti, che “bisogna” fare di più per chi si trova in condizioni simili alle tue.
Loris ha scritto: “Ora è arrivato il momento. Porto con me l’amore che ho ricevuto e lascio questo scritto augurandomi che possa scuotere un po’ di coscienze ed essere di aiuto alle tante persone che stanno affrontando ogni giorno un vero e proprio calvario. Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini e che proseguiranno la battaglia per il diritto ad una vita degna di essere vissuta e per un mondo più sano, pulito e giusto”.
Perdonaci Loris, soprattutto per l’amore che “non” hai ricevuto, che non siamo stati capaci di donarti, che di fatto ti abbiamo negato. Tutti. Politica, istituzioni, comunità, singoli.
E chi pensa di strumentalizzare la tua morte per affrettare l’approvazione di una legge – che nei suoi contenuti nulla ha a che fare con casi come il tuo – dovrebbe riflettere, magari anche vergognandosi un po’: al dolore autentico che chiede speranza si risponde con l’amore e la solidarietà fattiva. Non certo con il disinteresse per chi soffre o, peggio, proponendo l’eutanasia (o il suicidio assistito) come rimedio.

 Maurizio Calipari