Disagio giovanile / Attenzione a “Blue Whale” gioco mortale, da organizzare una efficace rete di protezione dei più fragili

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Dalla Russia parte un nuovo “gioco” mortale chiamato “Blue  Whale”, ispirato agli spiaggiamenti delle balenottere azzurre, che portano questianimali a morire. Un gioco che conferma come tanti giovani che vivono nel disagio non riescano a uscirne e scelgano una strada senza ritorno; mentre ci sono mille altre strade che portano a riappropriarsi della propria vita e del proprio avvenire.

Il gioco consiste in una serie di prove da affrontare e che si concludono con la prova fatale: il suicidio. Sembrerebbe un film dell’orrore, ma è una cosa che sta accadendo realmente nel mondo e protagonisti e vittime di questo orrore sono proprio gli adolescenti.

Il “gioco fatale” viene portato a conoscenza del grande pubblico da un articolo pubblicato lo scorso maggio da Novaya Gazeta, il giornale su cui scriveva Anna Politkovskaya. «Ci sono stati 130 suicidi di bambini in Russia tra il novembre 2015 e l’aprile 2016. Quasi tutti questi piccoli, secondo la reporter Galina Mursaliyev, facevano parte dello stesso gruppo su VKontakte (il Facebook dell’Est, ndr)». L’inchiesta infiamma il Paese. Anche gli altri media cominciano a interessarsi del caso e sono tanti i titoli su adolescenti spinti a suicidarsi dopo aver partecipato al gioco online, riconoscibile per l’uso di hashtag in lingua russa come “Blue whale” (Mare di balene).

I ragazzi per prendere parte a questo “gioco” devono essere accettati nella community, un amministratore assegna al giocatore una serie di missioni, che vanno dall’ascoltare ossessivamente una canzone a disegnarsi una balena sul braccio con un coltello, guardare per tutta la giornata un film horror e svegliarsi al mattino alle 4:20 fino ad arrivare all’ultima prova: lanciarsi dall’edificio più alto della propria città e lanciarsi nel vuoto. L’immagine che rappresenta questo gioco folle è un treno in corsa che si avvicina e presenta slogan molto inquietanti come: “Questo mondo non è per noi”, “Siamo figli di una generazione morta”. Molti partecipanti al “gioco” prima di suicidarsi hanno lasciato un post sui social network. L’indagine della polizia ha individuato un possibile istigatore, Budeikin Phillip (21 anni), già in carcere, ma è il mondo del web a preoccupare seriamente. Molti ragazzi erano scritti agli stessi gruppi Facebook. Come riporta il Daily Mail, il direttore di una scuola ha raccontato agli investigatori di aver ricevuto una chiamata anonima dove una studentessa ammetteva di essersi unita a un “gruppo della morte”, programmando di uccidersi. Una volta rintracciata, la ragazza ha confessato di non aver obbedito al comando che le era stato dato dall’amministratore del gruppo sul social network russo Vkontakte. Gli ultimi casi di “Blue Whale” sembrano essere quelli di due ragazze russe, Yulia Konstatinova di 15 anni, e Veronika Volkova di 16. Entrambe hanno lasciato un ultimo post sul proprio profilo social e hanno compiuto l’ultima prova. Anche in Europa sono stati riscontrati dei casi che riconducono a questo macabro “gioco”.

Questi tragici fatti devono fare riflettere tutta la società, ad ogni livello, soprattutto le famiglie e le altre agenzie educative, a cominciare dalla scuola. Riflettere e ricostruire un tessuto sano, nel quale i giovani e, tra loro, gli adolescenti, che vivono la fragilità dell’età come un dramma quando non come una condizione, appunto, invivibile.

Ormai tanti giovani non hanno più degli ideali da seguire, amano rischiare senza pensare alle tragiche conseguenze a cui sono destinati. All’inizio il gioco è visto come un semplice gioco ma in realtà gli adolescenti hanno dei problemi alle spalle, quali assenza o menefreghismo da parte dei genitori, problemi con i loro coetanei, complessi di inferiorità, paura degli insegnanti e/o dei genitori stessi, addirittura supereroismo cioè farsi vedere forti, in grado di accettare e superare appunto tutte le sfide di questo gioco, ma in realtà sono ragazzini deboli che hanno bisogno di supporto da parte dei genitori o di uno specialista che riesca ad aiutarli. La famiglia dovrebbe essere un punto fermo e di riferimento per tutti questi adolescenti che ormai con i social network sono andati oltre il semplice contatto digitale con i ragazzi della loro età e magari credono a ciò che dice colui (l’amministratore dei social in questione) che li manovra come semplici marionette.

Vengono sottovalutati i problemi della rete e i suoi effetti sulla psiche dei giovani. C’è davvero bisogno di più informazione sui pericoli che si riscontrano navigando su internet. I genitori devono necessariamente conoscere i meccanismi di adescamento, in modo tale da potersi accorgere di determinati segnali d’allarme visibili nel comportamento strano o diverso dei loro figli.

Michela Abbascià

 

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