L’intesa raggiunta a Vienna prevede la diminuzione del numero delle centrifughe iraniane (macchine che arricchiscono l’uranio), da oltre 19mila a circa 5mila, e delle scorte di uranio arricchito. Dopo il via alle sanzioni, enormi risvolti economici. L’analista Renzo Guolo: “È evidente che un accordo di questo tipo stabilisce che l’Iran non può essere più tagliato fuori”
“L’accordo è formalmente concluso. Si apre un nuovo capitolo nelle relazioni internazionali. È il risultato di un lavoro molto duro di tutti noi. Ringrazio tutti coloro che siedono a questo tavolo e anche chi sta dietro e ha lavorato per mesi e anni per raggiungere questo punto. Un segnale di speranza lanciato al mondo. Contribuirà in modo positivo alla pace e sicurezza regionale e internazionale”. Così Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, ha annunciato oggi, da Palazzo Coburg a Vienna, l’accordo sul nucleare iraniano raggiunto tra Iran e il gruppo dei 5+1 ovvero i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina, più la Germania, con il coordinamento dell’Ue. Un accordo “non perfetto”, ha rimarcato il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ma che segna “un’occasione storica perché apriamo un nuovo capitolo di speranza”. Dal canto suo il presidente Usa, Barack Obama, è stato chiaro: “Se l’Iran violerà l’accordo tutte le sanzioni saranno ripristinate e ci saranno serie conseguenze”. Per poi aggiungere: “Sarebbe irresponsabile allontanarsi da questo accordo. Porrò il veto a qualsiasi legge che si opporrà alla sua attuazione”. Una volta firmato l’accordo, infatti, il Congresso americano avrà 60 giorni di tempo per approvarlo o respingerlo. “È possibile muoversi in una nuova direzione” ha concluso Obama. Non la pensa così il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, per il quale l’accordo di Vienna “è un errore di proporzioni storiche”. Chi invece vede “positivamente l’accordo” è la Santa Sede che per bocca del suo portavoce, padre Federico Lombardi, parla di “risultato importante che richiede la continuazione degli sforzi”.
Punti dell’accordo. L’intesa raggiunta a Vienna, che richiama quella di Losanna dello scorso aprile, prevede la diminuzione del numero delle centrifughe iraniane (macchine che arricchiscono l’uranio), da oltre 19mila a circa 5mila, e delle scorte di uranio arricchito. L’accordo prevede anche il divieto di costruzione di nuovi impianti nucleari per 15 anni e il depotenziamento di altri come quello di Natanz, mentre l’inaccessibile centrale di Fordow, sarà convertita in un sito per la ricerca. Per i primi 10 anni le attività di ricerca e sviluppo potranno continuare ma non per accumulare uranio arricchito. Importante è il fatto che gli ispettori dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) avranno libero accesso alle centrali, potranno monitorare i siti militari incluso quello controverso Parchin, per verificare il rispetto dell’accordo da parte dell’Iran. Teheran ha ottenuto il diritto di appellarsi a un tavolo arbitrale composto da rappresentanti del Paese e dei 5+1. Le sanzioni internazionali saranno rimosse “quando l’accordo verrà implementato” a partire dal 2016. Resterà in vigore per altri 5 anni l’embargo Onu sulle armi, per 8 quello per le tecnologie dei missili balistici. La violazione dell’accordo provoca il rientro in vigore delle sanzioni. Queste ultime, una volta rimosse, libereranno, secondo molti analisti, risorse per 150 miliardi di dollari, frutto dei proventi del petrolio e depositati in banche asiatiche. L’Iran potrà tornare a esportare greggio ai livelli precedenti al 2011 (2,6 milioni di barili al giorno).
Accordo storico. “Un accordo di portata storica perché i contraenti principali sono gli Usa e l’Iran, due Paesi che fino a qualche anno fa si sono contrapposti duramente non solo a parole ma anche nei fatti, in alcuni teatri di conflitto”, afferma Renzo Guolo, docente di sociologia delle religioni ed esperto di geopolitica del mondo musulmano. L’accordo, infatti, “non investe solo il campo specifico del programma nucleare ma anche quello geopolitico. È evidente che un accordo di questo tipo stabilisce che l’Iran non può essere più tagliato fuori né sul piano della comunità internazionale per quanto riguarda i flussi energetici, né su quello delle vicende che riguardano le aree di influenza iraniana in Medio Oriente, in primis Siria, Iraq, Libano e Yemen. L’accordo sdogana Teheran che rientra a pieno titolo nella comunità internazionale e implica che l’Iran dirà la sua più di quanto non faccia adesso”. Per il sociologo si tratta di un’intesa dove tutti escono vincitori. Da questo accordo traggono vantaggio “i riformisti legati al premier Rohani come anche la Guida Alì Khamenei che si fa garante di questo davanti al partito militare dei Pasdaran, e alla destra islamica che un tempo faceva capo ad Ahmadinejad. Poi gli Usa: la valutazione geostrategica americana del Medio Oriente e della lotta al terrorismo jihadista, essenzialmente di matrice sunnita, è quella – spiega il sociologo – che non ci sarà soluzione se l’Iran non verrà coinvolto nella gestione delle crisi regionali. Vincitrice è la Russia che ha benedetto questo accordo e ha premuto perché le trattative non fallissero e la stessa Ue, che ha recitato un ruolo positivo di guida con l’Alto Rappresentante Ue per la politica estera, Federica Mogherini. L’Ue ha premuto molto perché il negoziato andasse a buon fine. Tutti portano a casa qualcosa”. Meno Israele e Arabia Saudita per i quali “l’inaffidabilità sistemica iraniana è evidente. Il rischio – conclude Guolo – è che ora si apra una revisione dei sistemi di alleanze, o quantomeno della loro intensità. I rapporti tra Usa, Israele e Arabia Saudita diventeranno più tesi. Questo è il vero passaggio chiave. Quando si cambia tutto, gli attori dell’area possono sentirsi liberi di compiere altre scelte per frenare questo processo. Con che mezzi lo vedremo”.
Daniele Rocchi