“Onorevoli colleghi, l’articolo 33, riguarda la donna. Questo articolo è un vivo riflesso di ingiustizie che nella vita italiana ancora oggi si verificano. Noi dovremmo perfino meravigliarci che questo articolo nel testo costituzionale sia stato registrato e sancito nella Carta Costituzionale che a due lavoratori di sesso diverso, ma che compiono lo stesso lavoro, spetta un uguale retribuzione.
Così pure ci dovremo meravigliare di aver dovuto stabilire come norma costituzionale che le condizioni di lavoro, per quanto riguarda la donna, debbono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e materna. Cioè dovremo meravigliarci di aver dovuto introdurre una norma tanto naturale ed umana”. Così Anna Maria Agamben all’Assemblea Costituente nella seduta antimeridiana del 10 maggio 1947.
Anna Maria Agamben, nacque a L’Aquila, il 19 settembre 1899 da famiglia benestante di origine armena. Maria frequenta le scuole dell’infanzia e la giovinezza e le scuole superiori in Abruzzo. Cattolica impegnata, per i valori della libertà e della democrazia. Dopo il conseguimento della laurea in Lettere all’Università di Roma, si dedicò all’insegnamento di Lettere e Storia nelle scuole superiori, scrisse testi scolastici e si occupò di giornalismo.
Anna Maria Agamben sposa Mario Federici
Nel 1926 si sposa con Mario Federici, aquilano come lei, che aveva conosciuto nel suo soggiorno romano, uomo di profilo intellettuale alto, critico e autore teatrale. La coppia insofferente delle limitazioni culturali imposte dal regime fascista, nel 1929 si trasferisce all’estero.
Maria continuò a insegnare presso gli Istituti italiani di cultura, nei nuovi Stati dove va a vivere, Bulgaria, poi in Egitto e infine a Parigi. A Parigi, visse un periodo fecondo, venendo a contatto con esuli italiani in fuga dal regime dittatoriale fascista. Confrontandosi con le idee sulla giustizia sociale che questi gruppi di esuli dibattevano, fra tutte il ruolo pienamente paritario della donna nella società. Idee che costituiranno il principio del suo pensiero. Rientrata in Italia nel 1939, mise a frutto le proprie convinzioni con un forte impegno sociale.
A Roma, con l’associazione “Piazza Bologna” durante la Resistenza, forniva assistenza ai perseguitati politici. In quegli anni rivolse il suo interesse al mondo del lavoro, creando, l’Udaci (Unione donne dell’Azione Cattolica italiana), come delegata per dare assistenza alle impiegate statali rimaste disoccupate. Nel mese di agosto del 1944, venne eletta delegata, “la prima delegata femminile” al Congresso Costitutivo delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani).
L’anno successivo organizzò un Convegno nazionale per lo studio delle condizioni del lavoro femminile, un importante momento di confronto per tutte le donne cattoliche.
Una delle donne dell’Assemblea Costituente
Tra il 1944 e il 1945, nacque l’Udi “Unione donne italiane”: Maria è contraria all’adesione delle donne cattoliche, perché e convinta sostenitrice della loro autonomia. Partecipò così ai lavori per la fondazione del Cif “Centro Italiano Femminile”, che si estese su tutto il territorio nazionale. Maria, ne fu presidente sino al 1950. Il Cif indirizzò la propria attività in una serie di iniziative a favore di sfollati, di reduci e dell’infanzia (colonie diurne ed estive, scuole, mense).
Nel 1946, il 2 giugno, l’occasione del diritto voto passivo e attivo alle donne, aprì le porte a Maria per la sua esperienza politica. Venne iscritta ed eletta nelle liste dei Democratici Cristiani, tra le 21 donne della Costituente. A seguito dei voti ricevuti a carattere nazionale , il suo nome entrò di diritto tra le 5 donne che dovranno scrivere la Costituzione della neonata Repubblica Italiana, nella così detta “Commissione dei 75”.
L’Agamben si distinse nella stesura del 3° articolo per i diritti civili e del lavoro. Presentò una relazione per le tutele economiche e sociali per la famiglia. Sosteneva che era lo Stato che doveva intervenire a tutelare le lavoratrici madri, fornendo ai cittadini il modo di eliminare gli ostacoli di natura economica che impedivano di formare famiglia. Fu lungimirante nel battersi, per far inserire quelle norme che avrebbero potuto evitare che alle donne fossero preclusi uffici pubblici e cariche elettive, e il diritto di accedere alla magistratura. E sostenne che l’unico elemento discriminatorio per l’ammissione dovesse essere il merito.
Le donne ancora vittime di discriminazioni sul lavoro
Ma la lungimiranza di Maria è rimasta sulla carta. Infatti, a settanta anni di distanza, le discriminazioni ancor oggi sussistono sia per le pari opportunità e dignità nel mondo del lavoro, che per la parità di salario.
Non c’è nessuna ragione di meraviglia, anzi è necessario capire cosa sia potuto accadere, dove le norme inserite abbiano creato una falla. L’ entrata in Magistratura delle donne e la costruzione di una carriera fino ai livelli più alti, oggi ha visto la vera applicazione. Le donne sono ora la maggioranza dei magistrati togati, e siedono al Consiglio superiore della Magistratura ed alla Corte Costituzionale.
Fondò l’8 marzo 1947, l’Anfe “Associazione Nazionale Famiglie Emigrate”, per assistere gli emigrati e le loro famiglie. E di questa associazione fu Presidente fino nel 1981.
Nel 1948 viene eletta, nella prima Legislatura della Repubblica italiana, alla Camera dei Deputati. Fu relatrice e presentatrice del disegno di legge sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri. Membro di diverse commissioni, firmataria di proposte di legge sulla vigilanza e controllo della stampa destinata all’infanzia e alla prima adolescenza e sulla disciplina dell’apprendistato.
Con Lina Merlin per l’abolizione della prostituzione
Nel 1950, insieme a Lina Merlin, Maria De Unterrichter Jervolino e Angela Guidi Cingolani, diede vita al Cidd (Comitato italiano di difesa morale e sociale della donna), operò in sostegno della proposta Merlin per l’abolizione della prostituzione a regolamentazione statale, fornendo assistenza alle ex prostitute che volevano cambiare vita, aiutandole nel reinserimento sociale. Lascia la politica alla fine della Legislatura, nel giugno del 1953.
Continuerà ad adempiere agli impegni nel sociale, nell’ambito dell’Anfe, sempre accanto alle donne italiane nei paesi di emigrazione. Curerà l’adempimento dell’obbligo scolastico per gli emigranti all’estero, mantenendo i contatti con loro e con il paese di origine.
Si dedicò anche alla scrittura lasciandoci un interessante scritto, “Il cesto di lana” interamente dedicato a raccontare gli anni della Resistenza e del dopoguerra. Morì Roma, il 28 luglio 1984.
Giuseppe Lagona