Dopo Amsterdam / Ue e migranti: lo stop a Schengen taglia la strada all’Europa comune

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La riunione dei ministri degli Interni dei Ventotto nella città olandese si è chiusa con un nulla di fatto. L’emergenza-profughi viene aggirata dai Paesi del Nord – che chiedono la sospensione della libera circolazione interna – e scaricata su quelli mediterranei e balcanici. Il piano della Commissione Juncker resta disatteso. Mentre l’integrazione politica cede il passo ai nazionalismi.

Se Schengen traballa, l’Europa rischia lo scivolone all’indietro. Non solo l’Europa delle istituzioni comuni, Rifugiati-a-Calais-foto-Ue-2-755x491della vituperata “burocrazia di Bruxelles”, quella contro cui Marine Le Pen, Viktor Orban, Alexis Tsipras e i nazionalisti-fotocopia di ogni Paese si scagliano ogni giorno. Bensì quella del mercato unico, dell’euro, della tutela dei diritti fondamentali, dell’Erasmus e, ovviamente, della libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali, caposaldo di un continente liberatosi dalla Cortina di ferro e dalle ataviche paure del dopoguerra.

Amsterdam, nuovi muri. L’Accordo di Schengen, il cui nucleo originario risale al 1985, è figlio di un’altra Europa, che intravvedeva la fine della Guerra fredda al suo interno e l’arrivo della globalizzazione, per tutelarsi dalla quale occorreva serrare i ranghi e fare squadra. Oggi l’Europa, presa d’assedio dai barconi del Mediterraneo, dalle bombe di Parigi e dalle milizie dell’Isis che infestano il Medio Oriente, immagina una sola risposta: giù le sbarre, su nuovi muri. Questo ha certificato il vertice dei ministri degli Interni dei 28, svoltosi lunedì 25 gennaio ad Amsterdam. Le ragioni, concrete e reali, di preoccupazione non mancano: in un clima come questo, il caso di Alexandra Mezher, assistente sociale di 22 anni uccisa in Svezia da un adolescente profugo, apparentemente per un banale diverbio, basta per scatenare gli animi e far tornare gli slogan di sempre: stop agli immigrati, chiudiamo le frontiere.

Linea carica di rischi. Da Amsterdam è dunque emersa una linea per certi aspetti comprensibile, ma rischiosa: Schengen e la libera circolazione dei cittadini europei all’interno dell’Ue potrà essere sospesa dagli Stati aderenti al trattato, con semplice preavviso, per un periodo di due anni. Il percorso è ancora tutto da definire: occorre che la Commissione prepari una “base giuridica”, che il Consiglio europeo (a febbraio o successivamente) la approvi, per poi essere resa operativa. Una richiesta in tal senso è pervenuta alla presidenza di turno olandese del Consiglio dei ministri Ue da Austria, Germania, Svezia, Danimarca, Francia e Norvegia (che non fa parte dell’Unione ma aderisce a Schengen).

Note stonate. Del resto gli ultimi dieci giorni hanno fatto registrare una vera e propria cacofonia europea attorno all’argomento. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e quello del Consiglio dei ministri Ue Mark Rutte hanno spiegato che “restano poche settimane per salvare Schengen e la libera circolazione”. Il ministro degli Interni austriaca Johanna Mickl-Leitner ha dichiarato: “Schengen è sull’orlo del tracollo”. L’omologo tedesco Thomas de Maizière, ha tuonato: “Eserciteremo pressione sulla Grecia affinché faccia i suoi compiti”, vigilando sui confini. “Vogliamo soluzioni comuni europee, ma il tempo stringe”. Il commissario Ue Dimitris Avramopoulos (greco) ha provato a rassicurare: “C’è piena intesa fra tutti sull’esigenza di salvare Schengen”, “nessuno ha proposto l’esclusione della Grecia”, ma “è ovvio che gli Stati di frontiera debbano lavorare di più e siamo qui per aiutarli”. Il premier italiano Matteo Renzi ha opportunamente osservato: “Mettere in discussione l’idea di Schengen significa uccidere l’idea di Europa. Abbiamo lottato per decenni per abbattere i muri: pensare oggi di ricostruirli significa tradire noi stessi”. Nel frattempo Lampedusa e l’Isola di Lesbo cercano di far fronte come possono agli arrivi via mare; i profughi della “giungla di Calais” prendono d’assalto il tunnel della Manica con il miraggio inglese; le guardie doganali tra Svezia e Danimarca e tra questa e la Germania controllano in controluce i passaporti europei; la stessa Danimarca approva la legge che confischerà beni e soldi ai profughi; chilometri di filo spinato vengono distesi in Macedonia, Ungheria, Slovenia, Croazia…

Una risposta efficace. Restano due certezze. Anzitutto: la sospensione “temporanea” di Schengen intralcia i movimenti interni all’Ue – con inimmaginabili danni all’economia del mercato unico e allo stesso “progetto europeo” – senza risolvere le pressioni migratorie verso l’Europa mediterranea e balcanica. In secondo luogo la ferita inferta alla libera circolazione è solo un escamotage pasticciato per non applicare il piano articolato della Commissione sul nodo migratorio che prevede: rafforzamento delle frontiere esterne (hotspot, riconoscimento migranti, istituzione delle Guardia di frontiera e costiera Ue); ricollocamento profughi fra tutti gli Stati membri; aiuti finanziari ai Paesi più esposti a Sud e a Est; rimpatrio dei migranti che non hanno diritto di accedere all’asilo; accordo con la Turchia (compresi i 3 miliardi promessi ad Ankara per “trattenere” i profughi siriani); azione concertata con la Libia e altri Paesi terzi per contrastare in maniera muscolare la tratta di esseri umani; revisione del regolamento di Dublino; cooperazione allo sviluppo per affrontare alla radice il fenomeno migratorio. Amsterdam ha provato ad abbozzare la risposta più semplicistica ma di corto respiro: l’Ue saprà approntare una soluzione vera, efficace e veramente “europea”?

Gianni Borsa

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