Dopo dieci anni, la storia è davvero cambiata?

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  L’anniversario è purtroppo importante. Sono passati dieci anni dall’attentato che ha colpito e distrutto le Twin Towers e la stampa di tutto il mondo si sta preparando a celebrarlo in un triste trionfo di immagini e testimonianze.  In una gara un po’ stucchevole ad arrivare primi, anche quella italiana ha avviato la commemorazione pubblicando ampi dossier sugli attentati con dieci giorni di anticipo.   Ci prestiamo anche noi a questo rito perché la data è rilevante, ma chiedendoci se davvero quell’evento abbia cambiato la storia, come titolano molti media.

 A seguito dell’attacco alle due Torri, come si ricorderà, l’esigenza di ‘giustizia’ argomentava il consenso intorno ad una azione che ‘punisse’ i colpevoli.  Si intervenne così in Afganistan, senza peraltro avere la certezza della presenza di Obama Bin Laden.  Ottenuta la caduta dei talebani, ci si spostò in Iraq contro Saddam Hussein, anche se questi non aveva rapporti con Al Qaeda. Per giustificare l’intervento militare vennero presentati – persino davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – ‘studi’ e ‘prove certe’ dell’esistenza di armi di distruzione di massa, in seguito rivelatisi falsi e costruiti ad arte.

 La presidenza Bush era arrivata alla Casa Bianca con ambizioni internazionali grandiose e temerarie. Dopo anni di concessioni alle Nazioni Unite era ora che l’America giocasse di nuovo il suo ruolo storico. Nell’avvio del nuovo secolo, definitivamente battuto il comunismo, gli Usa avrebbero dovuto promuovere la democrazia e il libero mercato nel mondo, assumendo senza pavidità le necessarie responsabilità militari. Tuttora è possibile leggere i ‘principi’ ispiratori di quella politica sul sito www.newamericancentury.org firmato nel 1997, tra gli altri, da uomini come Jeb Bush, il fratello del futuro presidente, Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz, futuri Ministro e Viceministro della Difesa.  È in quell’ambito che nacque l’idea di esportare la democrazia con le armi, ben prima che le Torri venissero colpite. Di fronte a queste scelte l’atten tato non cambiò realmente la storia, ne rese solo più rapido lo sviluppo:  le intenzioni militari di chi davvero contava nell’Amministrazione Bush erano già determinate e l’attentato fu l’occasione per metterle in atto con un consenso altrimenti più difficile da ottenere. 

 Il successo dell’esportazione della democrazia con le armi è sotto gli occhi di tutti. A Bagdad e Kabul la situazione è tuttora irrisolta e il rapporto tra Occidente e mondi arabo e musulmano sono gravemente peggiorati, recuperati oggi solo dalla rottura col passato operata da Obama.  Né gli Usa si sono affermati ‘storicamente’. Anzi, proprio quella stagione politica, con la liberalizzazione selvaggia del mercato finanziario, ha creato le premesse per la drammatica crisi finanziaria che è stato l’ultimo regalo dell’Amministrazione Bush. Grazie a quella crisi gli Usa conoscono ora disoccupazione e declassamento del debito, mentre sul piano economico si irrobustiscono nuovi attori, dalla Cina al Brasile, dalla Corea al Cile, che operano sul piano internazionale senza complessi di inferiorità. Il cambiamento economico diventa geopolitico e i membri del G7 non possono più decidere da soli, come avveniva sino a qualche anno fa.

 La caduta delle due Torri non orienta conseguenze precise nemmeno nel mondo musulmano.  La situazione mediorientale rimane un rompicapo, il consenso verso il fondamentalismo non si è consolidato e il fermento arabo degli ultimi mesi è nato lontano da Bagdad e Kabul e in tensione con le prediche fondamentaliste.

 C’è una dimensione in cui, invece, l’11 settembre segna una cambiamento netto: quella della lotta alla povertà.  Gli ultimi anni del ‘900 e il Giubileo avevano segnato una straordinaria stagione, con la campagna per la cancellazione del debito estero e il lancio degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio da raggiungersi nel 2015 per dimezzare la povertà nel pianeta. Una seria impressionante di Conferenze Internazionali delle Nazioni Unite aveva ritmato lo sviluppo di un impegno internazionale condiviso verso lo sviluppo e la lotta alla povertà.  L’attentato ha di fatto congelato gli impegni e cambiato le priorità nell’agenda internazionale.  Senza quell’evento forse oggi gli Obiettivi del 2015 non sarebbero così lontani.

 Infine una considerazione.  L’attentato ha alimentato l’inchiostro di chi ha trovato parole di rancore orgogliose. Lo ricordiamo con pena.  L’esperienza umana è una continua esperienza di riconciliazione. Riconciliazione con se stessi per riuscire a incontrare autenticamente gli altri. I tremila morti di New York si replicano ogni giorno, moltiplicati, nelle morti per fame o per le guerre dimenticate.  Abbiamo bisogno di tessere fili pazienti di dialogo per riconciliarci e servire l’uomo. Dobbiamo farlo con cura, con disponibilità e pazienza. Solo così il dolore diventa pace feconda e opzione politicamente durevole. La rabbia fiera e rancorosa, tanto citata ancora in questi giorni, non costruisce nulla. 

  Riccardo Moro (SIR)