Andrea Nicolussi, docente di diritto civile dell’Università Cattolica di Milano: “Occorre che siano preservati i diritti indisponibili dei coniugi e i loro obblighi fondamentali”. E ancora: “Credo che in linea di massima questi contratti siano pensati per coniugi della borghesia medio alta segnati dalla preoccupazione di non mescolare il (ricco) patrimonio col matrimonio”.
Dopo il varo della legge sul cosiddetto “divorzio breve”, è stata annunciata una nuova iniziativa legislativa che prevede l’introduzione in Italia degli “accordi prematrimoniali”. Il testo della proposta di legge è firmato dagli stessi parlamentari che sono stati relatori sul divorzio breve, Alessia Morani (Pd) e Luca D’Alessandro (Fi). Per approfondire il tema di tali “accordi”, abbiamo intervistato il docente di diritto civile dell’Università Cattolica di Milano, Andrea Nicolussi.
A pochi giorni dal “divorzio breve” ecco che si annunciano gli “accordi prematrimoniali”. Come reagirà l’opinione pubblica a questa ulteriore novità?
“Non ho competenze demoscopiche, ma mi ha impressionato il clamore giornalistico su una questione che non è ancora formalmente all’ordine del giorno in Parlamento”.
Quali aspetti di questi “accordi” potranno, a suo avviso, essere ricompresi e quali invece rimanere esclusi, perché il matrimonio non venga svuotato del tutto?
“Occorre che siano preservati i diritti indisponibili dei coniugi e i loro obblighi fondamentali: il principio di uguaglianza, l’obbligo di fedeltà, l’obbligo reciproco di assistenza morale e materiale, l’obbligo di contribuire ciascuno in proporzione alle proprie sostanze e capacità di lavoro ai bisogni della famiglia. Il matrimonio si snatura se perde la solidarietà che lo caratterizza. Naturalmente, dovranno essere escluse anche le disposizioni che riguardino i figli e i loro diritti, a meno che non siano chiaramente in loro favore”.
Visto che la nostra legge considera, al momento, gli “accordi prematrimoniali” non validi, come tecnicamente si potrà superare questo ostacolo?
“In realtà, oggi sono ammesse le convenzioni matrimoniali relative al patrimonio che possono essere coeve al matrimonio o successive. Ad esempio si può scegliere la comunione o la separazione dei beni o introdurre degli adattamenti. Tali convenzioni però non possono incidere sui diritti indisponibili e questo limite vale anche per eventuali accordi prematrimoniali che non sono vietati in modo assoluto. Il problema è non contraddire la promessa matrimoniale, che è promessa di una comunione di vita e non un contratto di scambio, né un’unione a termine”.
Tra i casi più famosi di “accordi” del genere, si cita spesso quello richiesto dalla moglie di un magnate americano circa la tempistica dei rapporti sessuali tra i coniugi (in quel caso almeno una volta la settimana). Che ne pensa?
“Nel nostro ordinamento giuridico questo ‘accordo’ sarebbe inconcepibile perché inciderebbe su diritti fondamentali delle persone. Del resto, il disegno di legge sui patti prematrimoniali, che fu depositato in Parlamento nel 2011 e a cui sembra che l’iniziativa più recente sia ispirata, faceva riferimento solo a questioni patrimoniali”.
Per gli aspetti economici, lei non ritiene che accordi previ possano costituire un boomerang, soprattutto per il coniuge più debole in caso di divorzio?
“La disciplina legale dei rapporti patrimoniali fra coniugi è orientata – anche in caso di separazione e divorzio – in favore del coniuge più debole. Perciò è chiaro che stipulare un contratto è un rischio per il coniuge più debole, e lo è anche perché implica buone conoscenze giuridiche e capacità di prevedere lo svolgersi degli eventi in un tempo relativamente lungo. Credo che in linea di massima questi contratti siano pensati per coniugi della borghesia medio alta segnati dalla preoccupazione di non mescolare il (ricco) patrimonio col matrimonio. Nel ddl del 2011 si prevedeva, tra l’altro, che effetto automatico del matrimonio fosse la separazione dei beni e la rinuncia preventiva del coniuge alla successione necessaria (l’eredità). Quest’ultima clausola in un matrimonio tra due giovani e che duri nel tempo mi sembrerebbe un’ingiustizia. Semmai potrebbe avere un senso nel matrimonio di una persona anziana che abbia dei figli”.
Acquisto di casa comune, mutui, spese sostenute da solo uno dei due coniugi, apporto di denaro: sono tra gli eventi più comuni sui quali potrebbero intervenire gli “accordi prematrimoniali”. Ma c’è proprio bisogno di una nuova legge?
“In realtà, la normativa c’è già. I contratti prematrimoniali hanno lo scopo di derogare a quella normativa per stabilire equilibri diversi. Chi li contrae evidentemente considera non improbabile il fallimento del matrimonio che si accinge a celebrare e teme già che l’altro coniuge se ne approfitterà. A mio parere, ad esempio, un aspetto migliorabile della disciplina legale, emerso anche nella recente giurisprudenza, è che la disciplina dell’assegno divorzile non sembra tenere sufficientemente in conto la durata del matrimonio. Né aggiungerei tiene conto dell’eventuale parassitismo del coniuge che riceve il mantenimento senza attivarsi per procurarsi un reddito proprio e che magari convive anziché risposarsi proprio per evitare di perdere l’assegno”.
Luigi Crimella