Dopo la Cassazione / No al matrimonio gay, sì agli stessi diritti. D’Agostino: “Ma questa è ipocrisia”

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Il prof. Francesco D'Agostino

Il professor Francesco D’Agostino rileva che si suggerisce di “seguire la via tedesca, ovvero di non parlare di matrimonio per i gay, ma di convivenze registrate, applicando, però, tutta la normativa prevista per il matrimonio”. E ancora: “Si danno nomi diversi a istituti che, dal punto di vista giuridico, sono sovrapponibili”. Sarebbe meglio seguire la strada del “diritto volontario”.

Il prof. Francesco D'Agostino
Il prof. Francesco D’Agostino

 

Non basta dire no ai matrimoni gay, se poi si raccomanda un istituto con una normativa “sovrapponibile” a quella matrimoniale. Così Francesco D’Agostino, giurista e docente di filosofia del diritto all’Università di Roma Tor Vergata, commenta la sentenza con cui la Cassazione ha rigettato il ricorso di una coppia di omosessuali, che chiedevano di potersi sposare in Italia. “Nel nostro sistema giuridico di diritto positivo il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre effetti perché non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugale”, scrive la Suprema Corte, per la quale è tuttavia necessario “un tempestivo intervento del legislatore” per dare “riconoscimento a un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia”.

Professor D’Agostino, questa sentenza della Cassazione è uno stop ai matrimoni gay e alle trascrizioni di quelli contratti all’estero?
“In realtà riflette una sentenza della Corte Costituzionale, peraltro meritevole di ben poco apprezzamento. Non costituisce una novità, ma piuttosto un modo di ribadire indicazioni già espresse: no al matrimonio gay, ma è più che opportuno creare un nuovo istituto per tutelare le coppie di fatto”.

Quali sarebbero i cardini di questo nuovo istituto?
“Sia la Corte costituzionale a suo tempo, sia la Cassazione adesso hanno suggerito al Parlamento di seguire la via tedesca, ovvero di non parlare di matrimonio per i gay, ma di convivenze registrate, applicando, però, tutta la normativa prevista per il matrimonio. È grottesco: si suggerisce di dare nomi diversi a istituti che, dal punto di vista giuridico, sono sovrapponibili. Non mi turba l’idea che il diritto possa riconoscere le convivenze di fatto e le coppie omosessuali: è però aberrante che questo riconoscimento coincida pienamente con la normativa prevista per le coppie coniugate. Bisognerebbe a tutti i costi evitare questa ipocrisia”.

Ma ci sono dei diritti che vanno riconosciuti ai cosiddetti legami affettivi?
“Sgombriamo il campo da un equivoco: Corte costituzionale e Cassazione parlano di rapporti affettivi, che meritano tutela. Ma il diritto tutela interessi sociali, non rapporti affettivi, altrimenti tutti i legami di amicizia dovrebbero essere legittimamente presi in carico con norme apposite. E, se i rapporti di coppia meritassero tutela perché affettivi, nel momento in cui uno dei membri della coppia dichiarasse che l’affetto è completamente cessato il rapporto stesso dovrebbe estinguersi. In realtà, il vincolo matrimoniale è storicamente tutelato perché funzionale all’ordine delle generazioni: per quanto ci possano essere coppie coniugate senza figli, la vera ragione del matrimonio è procreare e creare un sistema di educazione e inserimento sociale delle nuove generazioni”.

In passato si è parlato dei Pacs, come avviene in Francia, per riconoscere diritti alle coppie di fatto…
“Non sono altro che matrimoni depotenziati, poco dignitosi: una coppia che, potendo sposarsi, stipula un Pacs manda un messaggio alla società, mostra di credere poco a questo vincolo. Per gli omosessuali, invece, la questione è diversa: è palese che sono mossi da un desiderio imitativo nei confronti delle coppie eterosessuali. Ma i rapporti omosessuali ed eterosessuali sono antropologicamente diversi, e il diritto dovrebbe prenderne atto”.

Come riconoscere, allora, diritti alle persone che vivono un legame diverso da quello matrimoniale? Pensiamo alle esigenze di cura – accudire in ospedale il compagno o la compagna malati – o quando il partner muore…
“La via esiste, ed è quella del diritto volontario. Dal punto di vista economico basta che i conviventi facciano testamento l’uno a favore dell’altro, o intestino a entrambi i beni acquisiti durante la convivenza. Per l’ospedale e altri casi del genere sarebbe sufficiente una piccola norma che allargasse queste possibilità non solo ai conviventi sessuali, ma anche agli amici e ai sodali”.

In Parlamento presto dovrebbe arrivare il testo sulle unioni civili, “per dare diritti, doveri e riconoscimenti a chi è unito da un legame affettivo e ha un rapporto di convivenza”, ha detto la relatrice, bollando gli oppositori come “ultra-cattolici”…
“Da molti mesi le forze politiche moderate e cattoliche hanno sospeso la battaglia su questi temi. Ci troviamo di fronte a situazioni sociali che sarebbero facilmente risolvibili con un po’ di buon senso, senza attivare riforme normative che hanno un valore simbolico e ideologico, non sociale. Temo molto quando il diritto, anziché risolvere autentici problemi sociali, viene usato con finalità ideologiche e simboliche, come in questo caso”.

 Francesco Rossi