Carlo Borgomeo, presidente della “Fondazione Con Il Sud”, a proposito del “sottosviluppo permanente” evocato dall’istituto di ricerca: “Ritengo che si debba insistere sulla responsabilità degli stessi meridionali. Altrimenti ci si convince che lo sviluppo debba venire ‘da fuori’. Invece ci sono tante risorse interne da mettere in moto”. A partire dalla costruzione del “capitale sociale”
Una specie di litania di dati negativi, quasi al limite della disperazione: è quanto emerge dal “Rapporto Svimez 2015 sull’economia del Mezzogiorno”, presentato giovedì 30 luglio a Roma (www.svimez.info). Il Sud d’Italia ancora una volta fa parlare di sé, in negativo, ma questa volta con un tocco in più di pesantezza, perché i dati presentati nel rapporto dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (questo il nome per esteso della “Svimez”) sono particolarmente a tinte fosche. Mentre in Europa si brinda ai primi segnali di ripresa, l’Italia risulta il “peggiore” tra i paesi che hanno adottato l’euro sin dall’inizio circa la crescita del Pil procapite. E dentro questo dato di pesantezza è proprio il Mezzogiorno a tirare il Paese in basso. Infatti, nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Sud è risultato ancora negativo a -1,3%. Quasi il 62% dei meridionali ha guadagnato meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord. Sempre lo scorso anno la regione più produttiva è stata il Trentino Alto Adige con 37.665 euro di Pil procapite, mentre la più debole è risultata la Calabria con 15.807 euro. In tema di lavoro, il rapporto ha evidenziato che il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2014 ha avuto una caduta dell’occupazione del 9%, a fronte del -1,4% del Centro-Nord. Delle 811mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro nel periodo in questione, ben 576mila sono residenti nel Mezzogiorno. Lo scorso anno i posti di lavoro in Italia sono cresciuti di 88.400 unità, tutti concentrati nel Centro-Nord (133mila), mentre il Sud ne ha persi 45mila. Il numero degli occupati nel Mezzogiorno si è attestato a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello più basso dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche dell’Istat. Per “leggere” questi dati abbiamo intervistato Carlo Borgomeo, presidente della “Fondazione Con Il Sud”.
Presidente, la Svimez dice che un meridionale su 3 è a rischio povertà e che si viaggia verso il “sottosviluppo permanente”. È così drammatica la situazione?
“La realtà è questa, ed è di lunga deriva. Stupisce che quando parla la Svimez ci sia un sussulto. Certo i dati sono terribili, ma non nuovi. La crisi ha colpito più duramente le regioni meridionali anche se sembrava che all’inizio in quelle zone ci fosse qualche elemento di resistenza in più. In realtà ciò che fa più impressione è il versante occupazione, dove le cifre sono davvero impietose”.
Visto che ormai sembra finito il “meridionalismo”, che si può fare: rassegnarsi?
“Io per primo non solo non mi rassegno, ma benché colpito da una situazione clamorosamente difficile, negli occhi e nel cuore conservo tanti pezzi di Sud che contengono e rappresentano elementi di speranza”.
A chi allude?
“Sono fatti concreti, persone concrete, associazioni, imprese, realtà cooperative, che non vogliono cedere, che ci provano. Alcune hanno anche un discreto successo. Penso a loro perché, se non si parte da queste esperienze, allora è veramente finita. Del resto non credo che il Paese possa riscoprire all’improvviso una vocazione ‘meridionalistica’. Forse non ce ne sono più le condizioni. E quindi l’unica speranza riposa proprio nelle energie presenti tra la gente del Sud”.
Non è un po’ utopistico questo appellarsi alle forze interne della popolazione?
“No, è realistico. Certo è giusto ricordare alle istituzioni che il Mezzogiorno ha bisogno di tanti interventi, strutturali e infrastrutturali, economici, di sostegno ai poveri, ai giovani, all’istruzione. Questo sarebbe semplicemente fare buona politica. Ma ritengo che si debba insistere parimenti sulla responsabilità degli stessi meridionali. Altrimenti ci si convince che lo sviluppo debba venire ‘da fuori’. Invece ci sono tante risorse interne da mettere in moto”.
Da dove si dovrebbe partire?
“Dal sociale, e specifico: dalla scuola, dalla cultura, in una parola costruendo quel ‘capitale sociale’ senza il quale lo sviluppo non arriva. Purtroppo di questo non tutti sono convinti. C’è ancora chi ritiene che prima bisogna assicurare la crescita economica e poi questa rimedierà ai danni sociali. Ma, pensando ai tanti quartieri degradati delle città del Sud, è proprio sul degrado che bisogna agire, ponendovi rimedio e recuperando autostima tra la popolazione”.
Lo Svimez parla di “tsunami” demografico e di fuga dal Sud. Che fare?
“È vero, ma per molti che se ne vanno, molti di più restano. Con la nostra Fondazione agiamo con le realtà sociali e del terzo settore per rivitalizzare città e quartieri, offrendo occasioni di sviluppo”.
Come valuta l’incapacità di sfruttare appieno i fondi strutturali allo sviluppo messi a disposizione dall’Unione Europea?
“Come una delle peggiori performance dei nostri decisori, dovute a diversi fattori, ma soprattutto alla incapacità di far presente alle istanze europee che le procedure per accedervi sono ‘assurde’. Un discorso analogo va fatto a proposito del ‘sommerso’ tanto diffuso al Sud. D’accordo sulla sua repressione, ma le politiche più intelligenti dovrebbero essere volte a farlo emergere. Solo così si innescherebbe un vero sviluppo, senza le zone grigie che al momento sembrano essere dominanti”.
Luigi Crimella