Dopo Lampedusa / Mons. Montenegro: “Ho bussato a Bruxelles alle porte dei potenti”

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MontenegroParla monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, dopo aver incontrato le massime autorità europee (nella foto accanto con il presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy): “Ho portato la voce dei poveri, per dire qual è la realtà che si vive ogni giorno. Del resto la voce dei poveri a Lampedusa è duplice: c’è la voce degli immigrati, ma anche quella degli isolani, che si trovano schiacciati da queste presenze, ma non sono aiutati ad aiutare”. Cammino troppo lento per i richiedenti asilo.

 Da Lampedusa alla “capitale europea” per portare la voce dei poveri nelle sedi delle istituzioni Ue. Monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo della diocesi di Agrigento – che include anche l’isola al centro di tante tristi cronache -, ha fatto tappa nei giorni scorsi a Bruxelles. Il Sir lo ha intervistato raccogliendone “a caldo” alcune impressioni.
Dopo le recenti tragedie che si sono verificate a Lampedusa, lei ha notato una maggiore mobilitazione delle autorità, italiane ed europee, attorno all’emergenza umanitaria legata alle migrazioni?
“Noi tutti siamo rimasti colpiti da quest’ultima disgrazia, con oltre 400 morti partiti dall’Africa su un solo barcone. Ma non possiamo dimenticare che ci sono 20mila morti nel mar Mediterraneo, che è ormai diventato una ‘tomba liquida’. Sono situazioni che dovrebbero toccarci, perché quando muore un uomo è l’umanità che viene sconfitta e non dovremmo aspettare i grossi numeri per allertarci e per chiederci se c’è qualcosa da fare. Quello che è avvenuto ancora ultimamente a Lampedusa ha toccato le intelligenze e le coscienze di tante persone: il rischio è che per molti sia rimasta un’emozione che già va sfumando. Se poi tutto ciò abbia innestato iniziative reali per affrontare più efficacemente la situazione… allora direi che per il momento non si vede granché. Anzi, si vede ben poco. Promesse ce ne sono tante, però, oggi come oggi, tutto è come prima. A Lampedusa, ad esempio, il Centro di accoglienza degli immigrati resta quello che è, non idoneo ad ospitare tanta gente. Ci sono 250 posti e si accolgono mille persone in una situazione molto precaria”.
Negli ultimi giorni lei è stato a Bruxelles. Che cosa ha motivato la sua visita alle istituzioni Ue? Ritiene che la situazione dei richiedenti asilo possa essere risolta in maniera più efficace a livello europeo?
“Venire qui è stato un po’ bussare alle porte dei potenti, di coloro che decidono, portando la voce dei poveri, per dire qual è la realtà che si vive ogni giorno. Del resto la voce dei poveri a Lampedusa è duplice: c’è la voce degli immigrati, ma anche quella degli isolani, che si trovano schiacciati da queste presenze, ma non sono aiutati ad aiutare. Per tale ragione sono venuto nelle sedi comunitarie: per raccontare cosa succede sull’isola e nelle terre che accolgono i migranti. Secondo me, poi, la situazione dei richiedenti asilo potrebbe avere qualche miglioramento, ma occorrerebbe trovare un accordo tra gli Stati. In questo senso una vera collaborazione sembra lontana e il cammino è troppo lento di fronte alle pressioni migratorie”.
Qual è stato l’esito delle sue conversazioni con i Commissari europei e con il presidente del Consiglio Ue, Van Rompuy?
“Tutti hanno affermato di essere stati profondamente toccati dalle ultime vicende e che da quando è accaduto il naufragio di inizio ottobre hanno incominciato a riflettere maggiormente sul problema. Però è apparso chiaro quello che dicevo poc’anzi, ovvero che c’è una difficoltà: quella di prendere insieme delle decisioni. Sono state assunte delle iniziative, come Frontex e l’avvio della task force europea nel Mediterraneo. Ma anche in questo caso dobbiamo sperare che non si tratti solo di strumenti per ostruire il passaggio dei migranti, per fare una diga! La presenza di più navi europee nel Mediterraneo assicurerebbe forse maggior sicurezza a chi arriva sui barconi, per aiutare chi è in pericolo di vita; ma è essenziale che non si affronti il problema dei migranti con il semplice respingimento, anche perché ormai la migrazione è quasi una legge fisica. È una tracimazione che avviene perché la povertà, la fame, i diversi disagi obbligano questa gente a partire, come hanno obbligato altri popoli a emigrare in passato. I nostri italiani un tempo hanno fatto le valigie e si sono sparpagliati per il mondo. E aggiungo che se si pensa di fermare l’emigrazione con qualche legge più severa credo che sarà un fallimento, anzi creerebbe maggiore reazione… E ricordiamoci che la rabbia dei poveri è pericolosa. Se invece si avvia uno sforzo per trovare delle piccole e delle grandi soluzioni, nel breve e nel lungo periodo, allora qualche speranza in più può esistere”.
Lampedusa 2Siamo alla vigilia delle elezioni del Parlamento europeo, che si svolgeranno nella prossima primavera. Qual è il suo messaggio ai cattolici in quanto cittadini europei, anche in relazione alle politiche comunitarie per l’immigrazione?
“Siamo appunto alla vigilia delle elezioni e questo, purtroppo, può essere un segno negativo, nel senso che in campagna elettorale si ferma tutto. In periodo di elezioni anche la soluzione del problema migratorio – mi sembra di aver percepito – si dovrà rimandare a dopo. Per quanto riguarda invece un messaggio ai cattolici come cittadini europei? Io ritengo che noi tutti abbiamo il dovere di mettere in moto la coscienza, dobbiamo sostenere persone che sappiano guardare lontano, andando al di là degli interessi personali e dei nazionalismi. Bisognerà sostenere persone convinte che non può essere l’economia a reggere l’Europa, non può essere l’economia l’unico criterio della legislazione europea, perché il denaro è un idolo e niente di più. Ritengo piuttosto che lo sforzo da intraprendere sia quello di spostare tutta l’attenzione sull’uomo”.
In che senso?
“Nel senso che l’immigrazione non è fatta di numeri e non è una cronaca di giornale: si tratta di persone che per vivere sono obbligate a morire, che per vivere devono pagare prezzi così alti, che sono poi il frutto di scelte che abbiamo fatto noi. Ho avuto modo di dire ai responsabili delle istituzioni europee che noi oggi stiamo pagando il frutto delle colonizzazioni; abbiamo usato e sfruttato la terra africana, che chiamiamo ‘povera’, ma in effetti è ricca; ricca per noi, mentre loro, gli abitanti dell’Africa, continuano a essere poveri. Dobbiamo aprire gli occhi, e soprattutto il cuore e, con il Vangelo in mano, compiere le nostre scelte”.

                                                                                                                 Johanna Touzel

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