Ben venga la repressione, sia la più radicale, per applicare finalmente la legge dove si procedeva per agglutinazione malavitosa di interessi. Ma sappiamo che non basta. Sia nei partiti sia nella pubblica amministrazione sono saltati i sistemi interni di controllo. Ormai legati solo all’iniziativa della magistratura, che non può che intervenire a cose fatte.
Troppo grossa la vicenda “mafia capitale” per non cercare di ragionare in prospettiva, mentre le indagini fanno il loro corso, per cercare di ripulire e di incidere in profondità. Con esiti imprevedibili, perché siamo alla seconda puntata e il quadro potrebbe ulteriormente arricchirsi di particolari e di protagonisti.
Certo, ci sono le leggi, sempre più severe, ci sono gli assessori alla legalità e le autorità anticorruzione. Possiamo rafforzare gli uni e le altre, provvederli di poteri sempre più estesi, ma per questa strada difficilmente si potrà cambiare registro, voltare pagina. Possono, le (residue) autorità morali, dal capo dello Stato a papa Francesco, moltiplicare, come fanno, gli appelli, sempre più pressanti e sempre più allarmati.
Ma la medicina è efficace se gli anticorpi inoculati nel sistema possono operare e guarire gli organismi malati, che si chiamano partiti e amministrazione.
C’erano una volta i partiti. Con le loro strutture, con le gerarchie e le regole interne per la selezione dei vertici e dunque con i loro equilibri e con i sistemi di relazioni con gli interessi organizzati. C’erano una volta le burocrazie, con i loro concorsi, controlli. Poi è venuta la leaderizzazione dei partiti, tutti, nessuno escluso, e la privatizzazione dei sistemi amministrativi. A tutti i livelli e soprattutto al livello regionale e locale.
I partiti sono ormai aggregati di portatori di voti che si coagulano intorno a leader sempre più mediatizzati. L’elezione diretta a tutti i livelli – ormai di fatto anche del presidente del consiglio – ha accentuato e certificato questa struttura. La verticalizzazione crescente dovrebbe ovviare alla frammentazione, che però è anch’essa crescente: due processi che si alimentano reciprocamente, in un gioco che così risulta a somma zero.
Parallelamente si è mutato il sistema dell’amministrazione: ormai i dirigenti sono scelti dai responsabili politici, per assicurare il risultato. Ne consegue la delegittimazione della carriera e la moltiplicazione delle procedure dirette e sbrigative per assegnare incarichi e soprattutto per gestire le politiche pubbliche: per grumi di interessi.
Saltano così, nell’una e nell’altra filiera, i controlli, ormai affidati all’iniziativa della magistratura, che però non può che intervenire a cose fatte.
Ben venga la repressione, sia la più radicale, per applicare finalmente la legge dove si procedeva per agglutinazione malavitosa di interessi. Ma sappiamo che non basta, che da una rappresentanza politica e da apparati amministrativi efficienti non si può fare a meno. E’ questa la vera, grande riforma.
Sembra però che nessuno se ne stia attivamente preoccupando. Ma cercando solo di curare i sintomi, ovvero guardando all’immediato, ci si limita a sopravvivere, e la spirale continua ad avvitarsi. Rischiando di travolgere non solo piccoli e grandi protagonisti, ma soprattutto ulteriormente deprimendo il nostro tenore di vita, ovvero i nostri interessi concreti e quotidiani.
Francesco Bonini