E se i sette vizi capitali fossero otto?

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I “sette vizi capitali” sono otto? É un interrogativo legittimo: noi, infatti, li chiamiamo i “Sette peccati capitali”, ma in origine erano le “Otto tentazioni di Man”. La versione originale proviene da un monaco, Evagrio Pontico del quarto secolo che, attraverso la meditazione e l’intuizione, ha elencato e definito tutti i peccati dell’uomo, conosciuti anche come “cattivi pensieri”. L’anima di quel religioso (come tutte) doveva fare i conti con il maligno! Le tentazioni primarie dell’uomo sono state: ingordigia, fornicazione, avarizia, dolore, rabbia, scoraggiamento, vanagloria, orgoglio. Oggi il Catechismo della Chiesa Cattolica suggerisce un altro percorso. L’uomo deve stare alla larga, per guadagnarsi il Paradiso, da: ira (il lasciarsi facilmente andare alla collera); accidia (la pigrizia, l’ozio, la poca voglia di fare, l’apatia, il disinteresse verso gli altri, verso se stessi, e verso la vita); lussuria (dedizione al piacere e al sesso); avarizia (mancanza di generosità, colui che è taccagno, ma in origine indicava la tendenza all’accumulo eccessivo ed ingiustificato, la tesaurizzazione); gola (abbandono e esagerazione nei piaceri della tavola); invidia (desiderio malsano verso chi possiede qualità, beni o situazioni migliori delle proprie); superbia (sfoggio della propria superiorità rispetto agli altri).
Ma un altro monaco, questa volta dei nostri giorni, suggerisce di ritornare all’antico. Adalberto Piovano, benedettino del monastero della SS. Trinità in Dumenza (Va) che si occupa di spiritualità dell’Oriente cristiano, ha pubblicato otto volumi. Uno per ogni peccato dei vizi capitali che lui individua in: ingordigia, lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia, vanagloria e orgoglio. Ci sono delle varianti, com’è facile capire, che non si discostano dal filone centrale del percorso, patrimonio del buon cristiano. Un punto appare centrale nell’elenco: la lussuria, pur nei diversi aspetti e nelle varianti di linguaggio (Evagrio Pontico parla di fornicazione), sembra essere un motivo focale dell’itinerario di purificazione. Passano i secoli ma il “buon padre di famiglia” deve curare la propria anima, stando alla larga dai peccati del sesso. Con sfumature diverse c’è da addentrarsi in un labirinto che, in qualche modo, si confronta con le scienze moderne come la psicologia e la psicanalisi. Per parlare dei “vizi” dell’uomo Adalberto Piovano si è avvalso soprattutto dei testi monastici orientali, facendo scarso ricorso al contributo delle più moderne e avanzate frontiere dell’inconscio: <Questo non significa non tener conto dell’importanza delle acquisizioni sui temi trattati da parte di queste scienze umane>. E come si sa da Sigmund Freud a Carl Gustav Jung a Erich Neumann a James Hillman il percorso psicanalitico non trascura (anzi focalizza nell’itinerario dell’indagine del profondo) la “fornicazione” di Evagrio Pontico, lontana nella definizione della cultura più avanzata di “rapporto” (quando non è mercificato ed esasperato) o nella poesia semplicemente di “amore” (quando è sublimato dal sentimento più nobile conosciuto dall’uomo). Ma Piovano va oltre: <Ho scelto un’altra angolatura e un altro linguaggio, in quanto l’obiettivo era la relazione di questo tema con la vita spirituale. D’altronde, leggendo i testi monastici e patristici mi sono convinto sempre più della fondamentale importanza di un tema basilare nella dinamica della vita spirituale e, ancor prima, nel cammino della maturazione umana>. Eccolo, allora, il nucleo centrale dell’“analisi”: <Ci si rende subito conto della straordinaria capacità di questi antichi monaci di scandagliare la psiche dell’uomo!>.
Ma i vizi capitali compaiono già in Aristotele che li definisce “gli abiti del male”. Al pari delle virtù, i vizi derivano dalla ripetizione di azioni che formano, nel soggetto protagonista di eventi, una sorta di “abito” orientato verso una determinata direzione. Nel Medioevo i vizi sono visti come un’opposizione della volontà umana alla volontà divina. Nell’Età dei lumi la differenza tra vizi e virtù perde importanza, poiché anche i vizi come le virtù, concorrono allo sviluppo industriale, commerciale ed economico. Dopo il periodo illuminista il peccato fa capolino in alcune opere di Kant che vede nel vizio un’espressione della tipologia umana o di una parte del carattere. Da “L’antropologia pragmatica” di Kant nell’Ottocento sono stati tratti varie tesi di psicologia. Così la devianza diventa la manifestazione della “psicopatologia” dell’uomo: diventa malattia dello spirito.
<La lussuria un tempo era considerata il vizio per eccellenza. È ancora così? Oppure una nuova visione della sessualità, presente anche nella Chiesa, ne ha ridimensionato la portata?> Ha chiesto dalle colonne di “Jesus” Roberto Carnero al monaco del Duemila, Adalberto Piovano. <Certamente una società erotizzata come la nostra ha quasi eliminato uno sguardo negativo sulla lussuria> È la risposta del religioso: <D’altra parte, una comprensione positiva della sessualità ha ridato un giusto equilibrio nel valutare questa passione. Tuttavia resta sempre una passione malvagia e gli autori monastici, nonostante una visione a volte troppo negativa della sessualità, hanno saputo focalizzare la sua pericolosità: essa sta in quell’eccesso, in quell’abuso che distrugge la tensione stessa dell’amore, che racchiude anche il dono della sessualità in una ricerca egoistica che strumentalizza l’altro. La lussuria è una passione dissipatrice che rompe l’armonia della nostra umanità>.
Nobili parole che, nel rispetto dell’altro (altra) trovano la dimensione strutturale e semantica del rapporto libero, maturo e vero. Ma in agguato c’è sempre il demone di Lilith e della sua stirpe: gli incubi e i succubi che richiamano la lussuria. Il sonno malato degli uomini impregna se stesso, tanto da generare il male. Il sonno viziato con la donna tentatrice, meretrice, priva di freni inibitori e di verità sublimi, che conduce alla perdizione. Una visione demoniaca della femminilità, da vero fondamentalismo islamico, che si contrappone alla più avanzata e moderna figura dell’“altra metà del cielo” nata dall’emancipazione sociale, dall’antropologia culturale e dalla psicanalisi più progredite, nel rispetto comunque della visione celeste coltivata da chi nella figura di Maria, madre del potere della Luce, trova l’ancora di salvezza. Nel sesto secolo, papa Gregorio ha contrapposto alle sette tentazioni originali le sette sante virtù: castità, temperanza, carità, diligenza, pazienza, gentilezza e umiltà per praticare un percorso di vita che può condurre alla santità. Ma questa è strada irta e perigliosa, labirintica e bagnata dal sangue e dal sudore, dalla prova e dalla sofferenza per vincere l’incantesimo di Circe e il canto della sirena, l’umore del fiore più profumato e il vizio dell’orgoglio. È la strada di pochi eletti!
                                                                                 Crisostomo Lo Presti