Economia 1 / Il fiammifero cinese: borse gonfiate come rane e milioni di investitori a rischio

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Se noi europei (intesi come mass media e istituzioni politiche) siamo parecchio concentrati sulla bollapquestione euro-Grecia, in realtà i mercati finanziari ed economici mondiali hanno ben altre preoccupazioni da affrontare, che portano molto più in là del mare Egeo. In Cina, in particolare, dove sta rischiando di esplodere la più grande bolla borsistica degli ultimi anni. E qualcuno dice: di sempre.
Infatti le due grandi Borse locali (Shanghai e Shenzen) rischiano il precipizio che consegue alla fine del gioco del fiammifero acceso: perché la Borsa è un gioco, e per la precisione appunto quello del fiammifero acceso. Si acquistano titoli a prezzi sempre più cari, sperando di rivenderli poi a valori maggiorati e confidando in una crescita senza fine. Peccato però che, ad un certo punto, i valori delle azioni non abbiano più nessun nesso con la realtà, con la salute delle aziende sottostanti, con la crescita dell’economia: insomma, qualcuno si trova col fiammifero acceso in mano e non sa più a chi darlo. E così si comincia a vendere per cercare di rientrare, e i corsi azionari assomigliano sempre di più ad una cascata.
Ecco: sta succedendo pure in Cina quel che tipicamente ha sconquassato i mercati finanziari occidentali dal 1929 ad oggi, dal crollo di Wall Street alle bolle internet di inizio millennio fino al crack del 2008. Ci imitano pure in quello, i cinesi. I problemi, però, sono enormi: anzitutto le Borse locali erano cresciute in maniera assurda, raddoppiando se non triplicando il valore borsistico di moltissimi titoli. Questo perché in Cina – al contrario che in Occidente dove i grossi capitali sono in mano a fondi e banche – milioni di privati cittadini si sono fiondati nel gioco della Borsa che arricchisce tutti, che fa lievitare i risparmi, che permette di comprare un appartamento in città, di mandare i figli all’università, di acquistare quell’auto tedesca…
E il governo non ha fatto nulla, anzi, per quietare la febbre di titoli azionari che ha preso decine di milioni di cinesi. Sono tutti felici, e tutti tranquilli, quando le cose vanno bene.
Peccato che ora rischino di andare male. Molte azioni hanno perso anche il 50% del loro valore, ma si teme che il fondo da toccare sia ancora lontano. Significa altrettanti milioni di cinesi rovinati, impossibilitati a pagare i loro acquisti, a restituire i loro debiti, ad acquistare nuove merci. Gente che poi, come dire… si può arrabbiare. Non è una cosa buona, per la più grande dittatura del mondo ma anche per la seconda potenza economica e militare del pianeta.
Ma gli operatori occidentali non tremano per le conseguenze geo-politiche, quanto per quelle economico-finanziarie. Negli ultimi vent’anni la Cina è stata uno dei principali motori dell’economia mondiale, ma da qualche tempo va col freno a mano tirato. Se dovesse fermarsi, o comunque rallentare vistosamente, la sua frenata si sentirebbe fino a casa nostra. Visto che gli Usa trotterellano, l’Europa è quasi ferma, il Brasile è in recessione e il Giappone si sta giusto riprendendo da una ventennale stagnazione, la preoccupazione principale non è certo lo 0,2% del Pil mondiale prodotto da una Grecia tecnicamente fallita e quindi economicamente irrecuperabile nel medio periodo.

Nicola Salvagnin

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