Economia / Addio età pensionabile… In futuro la scelta sarà sempre più individuale, pur con alcuni parametri

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Si va in pensione a poco più di 60 anni: è questa l’età media registrata dall’Inpspensionati nel 2015. Che non è di molto superiore all’età media che si registrava pre-riforma Fornero. Insomma, la progressione verso l’innalzamento dell’età pensionabile degli italiani è per ora molto graduale. A regime, supererà quota 65 anni, con punte che svetteranno verso i 70: sempreché contro-riforme pensionistiche (molte sono all’esame delle forze politiche e delle commissioni parlamentari) non ammorbidiranno la questione, introducendo o limiti più bassi o maggiore flessibilità in uscita.
Ecco, flessibilità. È la parola magica che avvolge la questione previdenziale oggi. La invocano tutti i sindacati, la auspicano pure le forze politiche che sono al governo. La riforma Fornero appare molto rigida, ha un contenuto matematico che non tiene conto della vita reale. Ci sono occupazioni gratificanti, redditizie, prestigiose: schiodare un primario o un professore universitario dal proprio posto non è così facile. Ce ne sono altre che usurano, che inaridiscono, per le quali l’apporto lavorativo inevitabilmente cala nel corso degli anni. Mentre il costo del lavoro parallelamente sale. Così per le aziende è facile “tagliare” proprio chi ha meno energie, e più stipendio.
Già, ma cosa fare a 55-60 anni una svolta “scaricati” come oneri indesiderati? Come campare per quella dozzina d’anni che ancora mancano alla pensione?
Una prima risposta l’ha data l’esecutivo con un decreto “sulla flessibilità in uscita”, cioè un marchingegno che permetterebbe di ridurre l’attività lavorativa – quindi anche il costo aziendale – senza ridurre proporzionalmente lo stipendio e senza perdere contribuzione pensionistica.
In pratica, i lavoratori del settore privato (e a tempo pieno) a cui mancano tre anni per la pensione di vecchiaia possono chiedere di ridurre l’attività lavorativa dal 40 al 60%; l’azienda verserà in busta paga quanto dovrebbe invece versare all’Inps (siamo attorno al 22%) senza che questa somma venga tassata; in più lo Stato si farà carico di versare al suo posti i contributi figurativi. Insomma si può lavorare la metà, intascando i tre quarti dello stipendio iniziale.
Il governo, per questo meccanismo, stanzia 60 milioni per il 2016, 120 per il 2017 e 60 per il 2018: l’esperimento è triennale, poi si vedrà. La platea interessata? Si dice sia tra i 300 e i 400mila lavoratori, ma non è tutto oro quel che luccica.
Anzitutto il meccanismo riguarda solo i dipendenti privati: esclusi quelli pubblici (e Dio sa quanto ci vorrebbe un ricambio, nell’amministrazione pubblica). Escluse pure quasi tutte le donne, perché per il combinato tra l’età pensionabile femminile – in progressivo innalzamento – e i limiti posti dal decreto, sono in poche a poterne usufruire. Per gli uomini, la questione diventa interessante per chi ha già 63 anni. Poi sarà interessante soprattutto per chi ha stipendi medio-alti; chi guadagna 1.300 euro al mese, avrà molte perplessità ad accontentarsi di mille dato il costo della vita…
Ma è il fondo stanziato dallo Stato, il vero limite. Sessanta milioni di euro possono agevolare (considerati i 6mila euro di contributi figurativi che servono per un dipendente con stipendio medio) il part time di non più di 10mila lavoratori. Una dimensione che… ridimensiona alquanto la portata della novità governativa. Per carità, sono fondi che possono essere incrementati, ma anche raddoppiandoli…
Non c’è infine alcun obbligo di assumere, per le aziende che usufruiranno di questi part time. Quindi non si tratta di un meccanismo di “rotazione”, quanto di dolce “rottamazione”. Mentre all’Inps ne stanno valutando uno assai più ampio (ed efficace): esci dal lavoro prima? Avrai una pensione decurtata in percentuale agli anni di uscita anticipata. Insomma siamo puntando decisamente alla fine dell’età pensionabile, che sarà il meccanismo che funzionerà nei prossimi decenni: si andrà in pensione quando i contributi versati, in relazione all’età media registrata in quel periodo, genereranno un assegno previdenziale che ciascun individuo valuterà come sufficiente per le proprie esigenze.

Nicola Salvagnin

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