I cosiddetti “tagli lineari” sono sempre ingiusti: non distinguono mai tra chi s’impegna e chi no; tra chi è bravo e chi è mediocre; tra chi gestisce con oculatezza e ottiene risultati, e chi sperpera allegramente. Hanno un’unica qualità: ottengono un risultato senza tante discussioni (e senza alcuna valutazione). Misura d’emergenza per eccellenza, dunque; ma che non può e non deve essere utilizzata se non appunto nella stretta emergenza.
Il blocco degli stipendi del comparto pubblico è stato il più pesante taglio lineare imposto dai governi italiani. È sei anni che viene vietata per legge la contrattazione per adeguare i salari pagati ai dipendenti pubblici. Significa che questi stipendi si sono impoveriti almeno per il mancato adeguamento al carovita: e per fortuna che l’inflazione in questo periodo è stata abbastanza contenuta (meno del 10% in tutto). Ecco insomma come ottenere un risparmio della spesa pubblica senza affrontarne alcun nodo.
Sta di fatto che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco della contrattazione nel periodo 2010-2015, gettando nel panico il governo. Panico stoppato dall’originale sentenza della Consulta, che non pretende il pagamento degli arretrati – si parla di una voragine da 35 miliardi di euro – ma da ora in poi bisogna discutere e valutare questi stipendi senza impedire con una legge la contrattazione.
Ma qui i nodi vanno finalmente risolti, dopo che quattro governi della Repubblica avevano fatto loro il motto: procrastino dunque sono. E quest’ultimo esecutivo ha già fatto sapere che non funzionerà il metodo “x fratto y”, cioè una somma uguale per tutti. Finalmente!Anche se questa scelta urterà terribilmente i nervi dei fortissimi sindacati della funzione pubblica.
Però, per non dare un “aumento lineare”, ingiusto quanto un taglio, bisognerà lavorare duro: capire chi premiare e chi meno; dove meglio investire; come stabilire criteri di merito; come impedire che – nelle amministrazioni e negli enti – poi non si passi al “todos caballeros” in un amen: tanto mica sono soldi loro.
L’Italia non può più permettersi di distribuire a pioggia soldi che non ha, per vedere poi un terreno quasi sempre arido. Perché sulla qualità della nostra amministrazione pubblica c’è tanto da dire ed è raro sentire voci dissonanti. La costante linearità (di tagli e di aumenti) ha letteralmente cancellato quel po’ di mentalità efficientista che nemmeno la pubblica amministrazione può permettersi di snobbare.
Lo capiscano tutti: è un’occasione più unica che rara di invertire la rotta, di cambiare le cose in meglio. Se prevarranno invece le vecchie logiche (la mancetta per tutti in cambio di niente), il prossimo taglio sarà ancora lineare, e non riguarderà la mancata copertura dell’inflazione… Abbiamo di fronte la spending review studiata da Carlo Cottarelli; stringenti esigenze di bilancio; il bisogno di trasportare il settore pubblico dall’Ottocento al Duemila; la disperata necessità di salvaguardare quel welfare che è una conquista importante quanto delicata.
Quindi qualcuno costringa i dipendenti dell’Inps-Inpdap a rispondere ad una domanda di riscatto laurea un po’ prima dei trent’anni (30 anni, nell’era dei computer e delle mail) dall’invio della richiesta, com’è recentemente capitato ad un medico di nostra conoscenza. Pure un muto direbbe che può funzionare meglio di così.
Nicola Salvagnin