C’è un Sud che piange e un Sud che vince; un Mezzogiorno che arretra verso l’altra sponda del Mediterraneo, e alcune province che inseguono i migliori distretti industriali del Nord. Uno studio realizzato per la Borsa Italiana sulla creazione di valore da parte delle imprese manifatturiere con più di 5 milioni di fatturato (il dato è riferito al 2013) dice che l’economia italiana si sta rimettendo in moto; che aumentano i guadagni – ancora con percentuali di crescita non strabilianti – e si riducono gli indebitamenti.
Ma fa piacere scorgere, lungo la classifica delle province dove le performance di creazione di valore sono migliori, che – accanto al “solito” Nord – si trova qualche significativo angolo di Sud. Napoli, ad esempio, che sta crescendo forte: ci sono settori industriali in piena fioritura, nell’entroterra della città, al di là della ripresa produttiva della meccanica a Pomigliano d’Arco. E poi Cagliari, fiore all’occhiello di una Sardegna che si sta deindustrializzando. Quindi Chieti, forte nella meccatronica e nell’automotive (forti investimenti del gruppo Fca, anche per il futuro): qui si assume, qui si ricercano professionalità pregiate. Per non parlare del boom industriale ed economico dell’intera Basilicata, spinto dal successo degli impianti automobilistici di Menfi e dal fatto che il territorio lucano è il più ricco d’Europa quanto a petrolio.
La Puglia si barcamena tra un’acciaieria che ha un grande passato ma un piccolissimo futuro (Ilva) e gli investimenti dell’aerospaziale che garantiranno fatturati e occupazione anche nei prossimi anni. Anche la Campania in generale ha diverse aziende in rampa di lancio per entrare in quel novero di realtà che sta sopra il centinaio di milioni di fatturato: il vero traino dell’economia italiana. E va bene pure nella molisana Termoli; qualche sorriso nel Catanese…
Ci sono dei colossali buchi neri: l’intera Calabria, ad esempio, dove senza il settore pubblico (e il porto di Gioia Tauro) ci si avvicinerebbe più al Montenegro che alla Baviera. O la stessa Sicilia che esprime solo una minima frazione delle sue potenzialità: da sempre viene sognata come la possibile California d’Italia, da sempre rimane la Sicilia che è. Pure la Puglia gira quasi in folle, rispetto al fatto che dovrebbe essere la Lombardia del Mezzogiorno.
Insomma c’è tanto da lavorare, tra infrastrutture da implementare (e completare) e malavite da “bonificare”: non solo le “tradizionali” ma anche quelle più nascoste ma ugualmente mefitiche come nel Foggiano. Però dove si lavora bene, dove si crea una cultura d’impresa moderna, dove il settore pubblico almeno non boicotta ogni bozzolo pronto a diventare farfalla, si vedono ottimi segnali di rinascita, di crescita. Così si può convincere a cambiare idea pure quell’imprenditoria del Nord che preferisce investire all’estero – piuttosto che sotto Ascoli e Latina – non tanto e non solo perché il costo del lavoro è inferiore. Ma per cambiarla, ci vuole una classe politica e amministrativa meridionale moderna e capace di mettersi a confronto – vincendolo – con la concorrenza serba piuttosto che turca o cinese. Viene proprio da dire: buon lavoro…
Nicola Salvagnin