Economia / Contrattazione sempre più decentrata. L’eclissi dei contratti collettivi ha messo in moto fantasia e servizi

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268x179xcontratto-268x179-jpg-pagespeed-ic-idkoxidnynC’erano una volta i contratti collettivi: ci sono ancora, ma rivestono sempre meno importanza. Frutto delle conquiste dei lavoratori tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, i contratti validi per tutta una categoria hanno avuto il pregio di uniformare i trattamenti, di evitare odiose sperequazioni, di mettere il lavoratore in una posizione di maggior forza (o di minore debolezza) nei confronti dei “padroni”.
La grande crisi economica degli ultimi anni ha però indebolito fortemente un istituto che già mostrava pericolose crepe. L’uniformità di trattamento ha prodotto uguaglianza sì, ma verso “il basso”; per ragioni ideologiche, tra i sindacati non si è voluto approfondire quella contrattazione decentrata che avrebbe migliorato la situazione a livello territoriale (Milano non è Matera, le aziende presenti e gli standard di vita sono assai diversi, ecc.) o addirittura aziendale.
Fatto sta che quando i fatturati sono iniziati a calare, quando insomma da spartire è rimasto poco o nulla, è pian piano evaporata pure la voglia – da parte del mondo imprenditoriale – non solo di rinnovare i contratti in scadenza (per concedere aumenti salariali indistinti e “suicidi”?) ma addirittura di rispettare quelli vecchi. Da tavole condivise di regole adatte e adattate a questo o quel settore, i contratti collettivi si sono trasformati in “gabbie”.
Il fatto è che l’economia è una pelle di leopardo più che una coperta a tinta unita: ci sono settori che tirano e altri che arrancano; territori che funzionano e altri che arretrano; aziende con il vento in poppa e realtà con i libri in tribunale. Si è così sviluppata una forma di contrattazione decentrata che riguarda le singole aziende, e che non verte più o soprattutto sul fattore economico, ma in special modo sulle condizioni lavorative: orari più flessibili, turni diversamente modellati, soprattutto un welfare aziendale sempre più fantasioso.
Ecco le polizze di assistenza sanitaria, ecco i permessi di paternità o la flessibilità nel concedere “anni sabbatici” o nel permettere forme di aggiornamento o riqualificazione professionale; ecco una miriade di agevolazioni al consumo (dai buoni pasto alla scontistica ad hoc in questo o quel punto vendita), ecco le misure di sostegno per lo studio dei figli. La misura più gettonata è quella della conciliazione dei tempi di lavoro e vita: rendere l’esistenza più facile ai propri dipendenti, soprattutto se hanno famiglia e figli, ripaga alla grande l’azienda intelligente.
Poi, per carità, ci sono gli straordinari, i premi di produzione, i benefit: ma le misure economiche tendono ad essere sempre più personalizzate, legate a mansioni, produttività, merito. Il “tutto a tutti in cambio di nulla” rimane ormai un’esclusiva della pubblica amministrazione, che però da anni è ferma al “niente a tutti in cambio di nulla”.

Nicola Salvagnin

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