Dentro Palazzo Chigi sta nascendo una struttura di consulenza per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, su alcuni grandi temi che verranno affrontati nel futuro prossimo. Un team di esperti – selezionati con cura – che metterà mano ad alcuni dossier importanti. Nulla di ufficiale, ma trapelano già alcune indiscrezioni che fanno capire come il mondo sindacale e delle relazioni industriali saranno presi di petto da Renzi e compagni.
Due le questioni che ballano: i contratti e i sindacati. Sui secondi, si spinge verso un po’ di chiarezza sulla scia di una norma costituzionale sostanzialmente disattesa da sempre: è da sempre abbastanza opaca la questione della rappresentatività, dei reali numeri degli aderenti. Una questione non da poco: chi è titolato a discutere ad esempio di rinnovi contrattuali? Non è la prima volta che, dietro a “sigle” di una certa notorietà mediatica, si sia trovato il vuoto o poco più. Figuriamoci poi nel pubblico impiego, dove in certi settori sembrano esserci più sindacati che lavoratori…
Ma questa volontà politica non è che la prosecuzione di un’azione mai favorevole verso i sindacati stessi: dal taglio dei “distacchi” alla decurtazione delle risorse ristornate a Caf e patronati, che pure allo Stato fanno un gran favore nel rapporto con i cittadini. E questo per rimanere nell’ambito delle regole; sul piano politico, Renzi ha da sempre escluso i corpi intermedi dal suo orizzonte, e coerentemente pure i sindacati. Prima si decideva assieme alla triplice sindacale (Cgil-Cisl-Uil, si chiamava “concertazione”); ora, questa conosce quanto stabilito dall’esecutivo il giorno dopo, sul giornale.
Centrale è quindi la questione dei contratti, a questo punto il vero (e unico) punto di forza del sindacato. Nel mirino sono i contratti collettivi a dimensione nazionale, sui quali dentro lo stesso sindacato s’è discusso e litigato per anni: con una Cgil arroccata a difesa del contratto unico nazionale, valido in epoca di prime garanzie sindacali, meno in un’attualità molto più complessa e diversificata; e una Cisl appunto più propensa a sviluppare la contrattazione decentrata a livello territoriale se non addirittura aziendale.
Ecco, Renzi vorrebbe spingere ancora di più questa tendenza cislina, con il dichiarato obiettivo di dare fiato all’economia. Il contratto unico nazionale di categoria si sta rivelando una gabbia. Norme identiche per ogni azienda e per ogni territorio, fanno sì che a tali norme si possa derogare solo “in su” e mai “in giù”. Un principio di equità che si scontra con la flessibilità. Così lo stesso contratto che si applica nella ricca Brianza, si deve applicare pure nel Foggiano o nel Sulcis. Risultato? In pratica, gli imprenditori la flessibilità l’hanno trovata appena oltreconfine: sono centinaia le aziende che, alla Puglia, hanno preferito l’Albania; alla Sicilia, la Tunisia; al Nordest, le vicine Croazia, Serbia, Romania. Giusto? No. Reale? Sì.
Certo, imprenditori “cattivi” poco attenti all’equità sociale. Intanto però si lavora di là e non di qua. Si replica: non possiamo inseguire i “cinesi” nel peggioramento delle condizioni lavorative. Ma anche la mancanza di lavoro non appare un gran risultato, in tale senso. E pure le tantissime scappatoie che – più o meno legalmente – fanno breccia anche in Italia, non sembrano una gran conquista. Come quei (tanti) lavoratori che, ad esempio in Campania, sono contrattualizzati “part time”: due ore in regola, il resto in nero a salari da fame. Prendere o lasciare. Prendono. Occorre rifletterci.
Nicola Salvagnin