Dal prossimo marzo la Bce s’impegna ad acquistare in contanti titoli di stato dell’euro-zona per 60 miliardi al mese e per un anno e mezzo, immettendo così colossali quantità di liquidità a costo zero. Infatti il tasso di sconto è rimasto invariato, e sfiora lo zero. Obiettivo: salvarci dalla deflazione e riportare l’inflazione al 2%.
La mossa è valida e dovrebbe essere efficace, ma è anche l’ultima terapia d’urto che il medico Mario Draghi può somministrare al malato Euro(pa). Il “quantitative easing”, l’allentamento quantitativo (in pratica, l’aumento della massa monetaria circolante in euro di circa un terzo, da 2mila a 3mila miliardi) è stata a lungo studiata, a lungo osteggiata dai tedeschi, a lungo invocata soprattutto dagli italiani, e adesso è realtà. Dal prossimo marzo – si noti la malizia di aspettare l’esito delle elezioni in Grecia – la Bce s’impegna ad acquistare in contanti titoli di stato dell’euro-zona per 60 miliardi al mese e per un anno e mezzo, immettendo così colossali quantità di liquidità a costo zero. Infatti il tasso di sconto è rimasto invariato, e sfiora lo zero.
Insomma una marea di euro che arriveranno dapprima alle banche e, si spera, poi all’economia. Negli Usa ha funzionato, in Gran Bretagna pure, in Giappone no. Probabilmente non funzionerà più di tanto neppure nei Paesi europei che hanno adottato l’euro: la riluttanza ad investire è già stata sperimentata con altre recenti misure, è qualcosa che va al di là della disponibilità di credito e che tocca direttamente la politica e la sua capacità di creare un terreno adeguato agli investimenti. Tra l’altro, questo tsunami di nuovo contante dovrebbe stimolare almeno gli investimenti pubblici, soprattutto in Paesi anche troppo accorti come la Germania. Ma sicuramente la mossa di Draghi produrrà altri effetti positivi per le nostre economie: ridurrà ancor più il costo di rifinanziamento dei debiti pubblici (un toccasana per l’Italia); svaluterà automaticamente l’euro, tanto più che i capitali che ora si riversano su quei titoli, poi cercheranno investimenti più remunerativi in altri lidi. Ciò dovrebbe portare a maggiori esportazioni (altro toccasana per l’Italia) e ad una controllata crescita dell’inflazione.
Perché questo è il vero obiettivo della Bce: arrivare ad un tasso inflattivo che sfiori il 2%. Si noti che oggidì l’eurozona sta puntando decisamente alla deflazione, un brutto meccanismo che – una volta innescato – non si sa più se e come disinnescarlo. Sarebbe declino e probabilmente la deflagrazione di un’Europa unita: ognun per sé, si salvi chi può.
La scelta della Bce è stata ed è fortemente osteggiata dalla politica tedesca, assai riluttante ad addossarsi in quota-parte i debiti pubblici dei Paesi mediterranei spendaccioni. Il nostro debito compreso. E ha fatto infuriare banche ed assicurazioni tedesche, che non sanno come investire i loro attivi in titoli sicuri, visto che il sicurissimo bund germanico non rende nulla.
Soprattutto, si teme – a nord delle Alpi – che questa forte immissione di ossigeno produca un effetto politico indesiderato: cioè che i Paesi super-indebitati ne approfittino per allentare sul piano delle riforme, per ricominciare a spendere come prima, più di prima. Le dichiarazioni di un ministro italiano (Poletti, Lavoro) che ha detto – negli stessi minuti in cui Francoforte dava il via libera al “quantitative easing” – che la riforma delle pensioni va allentata, insomma che i tagli previdenziali del 2011 vanno rimodulati… ecco: se non un indizio di quelle paventate controriforme, almeno sono un record europeo di intempestività.
Il 2015 sarà quindi cruciale, tireremo le somme a fine anno per capire se la cura sta funzionando o no. Ma si sappia già da ora che non salverà automaticamente tutto e tutti: come ha detto e ridetto Draghi, ogni governo dovrà poi fare la sua parte e la Bce vigilerà “attivamente”. È arrivata la cavalleria, ma non possiamo rimetterci a dormire sugli allori o uno squillo di tromba la richiamerà indietro.
Nicola Salvagnin