In questi giorni le maggiori banche italiane stanno svelando, con i loro bilanci, che il 2014 non è poi andato così male. E che il 2015 andrà quasi sicuramente ancora meglio. Qualcuna sforna utili di tutto riguardo; quasi tutte le altre, pure; ma qualcosa poi azzera quanto di buono è stato fatto, quindi le cedole agli azionisti o la ricapitalizzazione della banca stessa.
Questo qualcosa si chiama “crediti inesigibili”, una voce di bilancio che testimonia quanti soldi a suo tempo prestati, non torneranno più indietro. E qui si apre una voragine. Perché questi anni di crisi hanno prodotto proprio questo: miliardi di euro “bruciati” da chiusure aziendali, fallimenti, affari andati male, crisi di liquidità, mutui non pagati, beni e proprietà svalutati.
Nel recente passato, non si è voluto più di tanto fare “pulizia” in bilancio: un po’ per vedere come andava a finire, se magari un miglioramento della situazione economica avrebbe comportato pure qualche restituzione non prevedibile; un po’ per non affossare bilanci già malconci, chiedere nuovi soldi agli azionisti, far chiudere aziende, spaventare i mercati finanziari, (finire a casa, nel caso dei dirigenti bancari). Ma due situazioni hanno obbligato i più ad afferrare la ramazza e a ripulire finalmente i bilanci.
Da una parte la Bce (e la Banca d’Italia), sempre più insofferenti verso gestioni bancarie dilettantesche od oscure. Le banche centrali hanno poteri enormi nei confronti degli istituti finanziari: dal commissariamento della banca all’estromissione dei vertici aziendali. E non si fanno riguardo ad agire contro un piccolo credito cooperativo veneto o abruzzese, piuttosto che contro una grande banca toscana o genovese.
Dall’altra, la Bce ha inondato il mercato di liquidità, un mercato dove in realtà già la liquidità non mancava prima, piuttosto latitava la fiducia, in particolare verso una “sana” gestione di molte banche. La ramazza di questi giorni aiuta pure a disintasare queste incrostazioni di fiducia, e quindi a riversare sui titoli bancari le attenzioni degli investitori.
Sta di fatto che, tutto d’un colpo, si è fatta chiarezza sui 180 miliardi di crediti dubbi che zavorravano il sistema bancario italiano, e la nostra economia. Chi l’ha fatto per tempo (Unicredit, Banca Intesa) ora può già distribuire i primi copiosi frutti dello snellimento; chi l’ha fatto solo ora (le grandi Popolari, Mps…) cerca di rimettersi in carreggiata per smettere di bruciare denaro, ma anzi per accrescerlo. Come è nella natura di una banca.
Montepaschi ha dato l’addio a 7,8 miliardi di euro; il Banco Popolare a 3,9 miliardi, tanto per dire. Si pagano errori passati (acquisizioni sbagliate, Ilva, speculazioni edilizie andate a male) ma anche le difficoltà di un territorio comunque a macchia di leopardo: anzi, le solite tre macchie italiane. Il Centrosud in grande sofferenza (bancaria) con prestiti andati in fumo da un terzo a metà degli importi finanziati; Toscana e Umbria che vanno un po’ meglio; il resto con una sofferenza dei crediti che varia tra il 15 e il 30%, con le punte più virtuose di Trentino Alto Adige, Val d’Aosta e Marche.
Ora tutti a dire: si volta pagina. Un applauso, se si tratta di smettere di finanziare “furbetti del quartierino” e aziende chiaramente decotte; un errore, se non si riattiveranno tutti i vasi linfatici verso la piccola e media impresa che fanno il tessuto economico italiano. Ma le erogazioni stanno raddoppiando: significa che forse siamo sulla strada buona.
Nicola Salvagnin