La ripresa settembrina porta con sé la necessità di puntare alla valorizzazione dei gioielli economici di questa nostra Italia, perché non lo sappiamo fare. Almeno in senso quantitativo. L’agroalimentare tricolore è unico al mondo (ci stiamo facendo un’Expo) ma le multinazionali sono americane, svizzere, francesi, addirittura inglesi. L’unica nostra è la Ferrero, tra l’altro non al primo posto nemmeno nel suo settore. La moda la dettiamo noi, ma i soldi veri li fanno gli spagnoli e i francesi; l’arredamento fa scuola ma i fatturati li fanno gli svedesi; abbiamo inventato i negozi ma le grandi catene parlano tutte la lingua straniera, e così via.
Pazienza, non si possono creare multinazionali od occupare posizioni di primo piano con un tratto di penna. Ma ci sono altre eccellenze italiche riconosciute in tutto il mondo, che non generano quei fatturati e quei ritorni economici che sarebbe lecito aspettarsi e che da altre parti invece fioriscono.
Stiamo parlando ad esempio del turismo. Recenti inchieste hanno chiarito che i flussi economici del comparto turistico dell’intero Mezzogiorno faticano ad eguagliare quelli del solo Veneto, che a sua volta guarda con invidia i risultati delle iberiche isole Baleari. Che il turismo sia ancor meglio del petrolio lo hanno capito perfino in Polinesia, ma qui si vive alla giornata, con una promozione strapaesana, strutture piccole e spesso inadeguate, infrastrutture (aeroporti) che lasciamo perdere, insomma un dilettantismo incapace di “estrarre” tutto il valore che il Paese del sole potrebbe produrre. Non è possibile che Bolzano riesca a fare più soldi dal turismo che l’intera Sicilia, punto.
Altra eccellenza collegata al turismo è il patrimonio artistico. Non è una vanteria affermare che il nostro è il più ricco e variegato del mondo: da Pompei e Paestum fino ai Musei d’arte moderna, passando per migliaia di siti disseminati in tutto il territorio nazionale. Ebbene anche qui i dati sono sconfortanti: i nostri migliori musei incassano, in proporzione, un decimo di quanto fanno le più blasonate realtà mondiali; i proventi da sbigliettamento sono quelli che sono; il merchandising spesso parola sconosciuta; molto fragile l’effetto traino per l’intero comparto turistico: si va nella non stupenda Bilbao per vedere lo stupefacente museo, ma chi viene apposta a Milano per Brera, a Genova per il Miglio d’oro, a Trapani per Segesta e Selinunte o in Tuscia per la civiltà etrusca?
Soprattutto le italiche scolaresche. Ascoli Piceno è una città stupenda con tesori che gli interi Stati Uniti ci invidierebbero, ma che teniamo ben celati e con una ricettività alberghiera da paesello appenninico. Per non parlare di Lucca, Viterbo, Parma, Mantova, Urbino, Lecce, Siracusa… Tutti scrigni ricchi di tesori, della nostra qualità del vivere, di potenzialità sfruttate se non in minima parte.
I turisti non vengono? Peggio per loro. E li lasciamo aggirarsi per la monotona Olanda piuttosto che per l’uggiosa Estonia, portando valuta pregiata lì invece che da noi. Quindi buonissima cosa nominare soprintendenti al di fuori delle vecchie logiche della spartizione politica o delle amicizie che contano; ma ben altro sta attendendo un settore che, di anno in anno, sta perdendo posizioni e fatturati. E qui le istituzioni e la politica possono fare moltissimo, rispetto al quasi niente degli ultimi decenni, portando benessere ed occupazione a stretto giro di posta.
Nicola Salvagnin