Economia / Poveri anziani? No, poveri giovani. I redditi contratti sono solo quelli delle nuove generazioni

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Contrordine: basta scrivere “poveri anziani”, perché non è vero. I dati forniti dall’Ufficio studi di Bankitalia268x158xImagoMundi_72963-268x158.jpg.pagespeed.ic._ea2LFes88 smentiscono, anzi ribaltano la vulgata secondo la quale sono state le generazioni più anziane a subire i peggiori effetti della crisi.
È vero il contrario: il sistema pensionistico ha tutelato proprio chi ha più di 60 anni; non solo: nell’ultimo ventennio i meno giovani si sono arricchiti di più, a danno dei più giovani. Non sono considerazioni, ma dati statistici. Fatta 100 l’unità di misura della ricchezza media di vent’anni fa, in questi due decenni i pensionati sono passati da 95 (effettivamente erano i più poveri) a 114. Il reddito equivalente è invece calato di 15 punti percentuali per la classe di età dai 19 ai 35 anni; di circa 12 per quella fino a 44 anni.
Insomma, la situazione non era come ve l’abbiamo raccontata per anni. Le statistiche dicono che il sistema pensionistico italiano è il più “pesante” al mondo rispetto al Pil (16% di spesa annua) e le aliquote previdenziali sui redditi da lavoro sono a loro volte da record mondiale: 33%. Siccome i contributi dei lavoratori servono per pagare le pensioni in corso, il risultato è che una fetta di ricchezza si è progressivamente spostata dalle generazioni di mezzo a quelle più anziane.
In più, a “peggiorare” le cose, c’è stato un deciso incremento del welfare orientato verso chi è fuoruscito dal mondo lavorativo, grazie a sgravi vari tra i quali primeggiano quelli sulla spesa sanitaria.
Sta di fatto che un altro dato è certo: i più giovani si sono bruscamente impoveriti, e non ci voleva Bankitalia per farci accorgere di questa situazione. Il lavoro latita; quando c’è, è spesso precario e malpagato. Cioè, è pagato molto meno di quanto lo era negli anni scorsi. Ecco quindi spiegata buona parte di questo differenziale di ricchezza generazionale: chi ha più anni, ha lavorato con stipendi e guadagni nettamente superiori dei propri figli, percependo così pensioni che appunto i figli non vedranno mai.
Fa male al cuore – e al fegato – sapere che i giovani che più subiscono l’effetto-impoverimento sono quelli che mettono su famiglia appunto in giovane età: basta un figlio per rischiare di scivolare tra chi fatica ad arrivare a fine mese. La buttiamo lì: che sia forse una delle cause che vede l’Italia tra i Paesi al mondo con la peggiore denatalità?
Una situazione però che non ingenera grandi conflitti generazionali, proprio per i forti legami familiari che esistono in Italia. Sono le pensioni degli anziani ad aiutare i più giovani a tirare la carretta; sono i soldi dei genitori a permettere a venti-trentenni di non naufragare. Saranno i beni lasciati in eredità da chi se ne va lasciando pochi figli e pochissimi nipoti, a cambiare la situazione di chi riceverà quei beni: le famiglie che hanno ricevuto un lascito nel 2014 – scrive Bankitalia – hanno ricchezze più del doppio superiori a chi non ha avuto (per fortuna) lutti. Valà?
E se questa è la situazione, a quali scelte sono chiamati i nostri governanti?

Nicola Salvagnin

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