Il clima è cambiato, e non parliamo solo di quello atmosferico, visto l’approssimarsi della primavera. Gli italiani stanno recuperando un po’ di fiducia nel futuro: sia come consumatori che come imprenditori. Questi ultimi hanno troppa voglia di mettersi la crisi dietro alle spalle; confessano agli istituti di ricerca un ottimismo forse sproporzionato rispetto ai dati macroeconomici. Si rischia un po’ di delusione, ma sicuramente si evita quel clima di depressione che ha caratterizzato gli ultimi anni.
Non è solo psicologia spicciola: chi non vede futuro, non programma nemmeno investimenti, cambiamenti, innovazioni. E questo è quanto accaduto soprattutto negli ultimi due anni. Ma il costo del denaro è ai minimi, la situazione delle banche sta complessivamente migliorando, il mercato è inondato di liquidità, i consumi sono in (lentissima) ripresa, l’euro si sta indebolendo e favorendo così le esportazioni. A proposito: c’è talmente tanta liquidità ferma nei depositi bancari, che gli istituti stanno studiando contromosse, come ad esempio l’applicazione di tassi negativi. Si pagherà per lasciare i soldi depositati, un buon motivo per utilizzarli.
Ci si metta un’altra notizia ottima per la nostra economia basata sulle importazioni di materie prime: il valore di quasi tutte le commodities nei mercati mondiali è in picchiata, dai cereali al ferro, dal greggio (anche se in risalita) al rame. Siamo un Paese trasformatore, il costo basso delle materie prime può solo favorirci.
Sta cambiando pure lo stato d’animo degli italiani: gli istituti di ricerca lo certificano più sereno. È piaciuta la rapida nomina di un personaggio come Sergio Mattarella, l’arrivo di importanti riforme, il fatto che altre sono in cantiere e che insomma qualcosa si sta muovendo, la prospettiva che d’ora in poi si parlerà più di assunzioni che di licenziamenti…
Un clima più confortevole che si vede pure dall’indicatore economico per eccellenza di questi anni di crisi: lo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. In questi giorni è sceso sotto quota 100, la prima volta dopo 5 anni; ce lo ricordiamo sopra quota 500, tre anni e mezzo fa quando era tutto un ventilare la catastrofe greca trasportata al di là dello Ionio.
I mercati finanziari sanno che abbiamo un debito pubblico spaventoso, ma sanno pure che il sistema Italia appare abbastanza solido da reggerlo. Non c’è più quel clima di sfiducia verso il nostro Paese e la sua dirigenza che aveva portato a vendere a rotta di collo i nostri Btp.
Per noi, questo basso spread significa pagare meno interessi sul debito (ci sveniamo, per farvi fronte ogni anno), mentre si sta provando ad allungare la durata media dei Btp: il sogno è il livello britannico, un debito con scadenze a 15 anni di media, a tassi bassi. Siamo a metà strada e basta un niente per dover ingranare la retromarcia, se all’ottimismo di oggi dovesse subentrare la delusione di domani.
Nicola Salvagnin