Ci sono buoni segnali: la classe politica sembra finalmente conscia del fatto che non si può continuare a vivacchiare a forza di chiacchiere da talk show; le prime riforme stanno iniziando a dare risultati; la cornice economica è decisamente favorevole (petrolio in calo, tassi a zero, euro debole…). Insomma, sembra la volta buona.
La “guerra dei sette anni”, l’ha battezzata il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi. Una guerra più lunga dell’ultimo conflitto mondiale, dalla quale stiamo uscendo solo ora: un conflitto che non si è combattuto con cannoni e bombe, ma con le armi dell’economia. E per sette anni ha inchiodato l’Italia al muro.
A morire sono stati soprattutto i posti di lavoro. Circa un milione il saldo negativo, una cifra gigantesca che ora faticosamente stiamo cercando di recuperare: ma ci vorranno anni, e non è detto che riusciremo a tornare alla situazione pre-2008. Nel frattempo abbiamo perso un decimo della nostra produzione, il 17% di quella industriale, quasi un terzo dell’edilizia (e qui la crisi appare strutturale). È sparito un terzo degli investimenti produttivi, i consumi degli italiani sono calati dell’8% (non accadeva, appunto, dal Dopoguerra). Molta classe media s’è impoverita, molti nostri risparmi sono evaporati.
Insomma, tante ferite. Nessuna mortale, perché questo Paese sembra avere la forza per ripartire, per risollevarsi: “Ci sono tutti i presupposti – ha detto Rossi – in una recente lectio magistralis al Collegio Borromeo di Pavia – ma la ripresa è timorosa, va incoraggiata. Molte imprese sono pronte a investire ma ancora esitano a farlo”.
Infatti siamo al bivio: se proseguiamo per la strada di questi ultimi 8 anni (ma c’è chi parla di un declino ventennale), forse non sarà più guerra, ma continueranno gli effetti negativi per un Paese avvitato su se stesso, incapace di cambiare marcia. Oppure si cambia appunto marcia, e quindi direzione: ci sono buoni segnali a tal proposito, la classe politica sembra finalmente conscia del fatto che non si può continuare a vivacchiare a forza di chiacchiere da talk show; le prime riforme stanno iniziando a dare risultati; la cornice economica è decisamente favorevole (petrolio in calo, tassi a zero, euro debole…). Insomma, sembra la volta buona.
Un buon segnale è arrivato pure dall’Inps: più di 70mila aziende hanno chiesto informazioni all’ente sugli sgravi contributivi per i neo-assunti. Il tutto in pochi giorni. E i numeri dicono che si sta invertendo la rotta, la disoccupazione è stabile e probabilmente calerà da qui a fine anno.
Si ritorna ad assumere, dunque. Si regolarizzano posizioni finora confinate in un limbo di precarietà (nell’80% dei casi), si aumentano gli organici aziendali con nuovi ingressi. Sarà una fiammata del momento? La droga dell’incentivo pubblico? Tutto dipenderà appunto dal futuro prossimo: se l’Italia ritorna a crescere – una crescita robusta, non lo 0,1% del Pil – le aziende torneranno ad assumere. Cosa che non hanno quasi più fatto durante la guerra dei sette anni, quando “capannoni, uffici, posti di lavoro – ha ricordato Rossi – si vaporizzavano con il click di un mouse”.
Nicola Salvagnin