Il tipo che la prima volta fissò in una spiaggia dell’Adriatico un telo su quattro pali per proteggere i bagnanti dal sole, avrebbe immaginato che un giorno nella sola Jesolo ci sarebbero stati 20mila ombrelloni davanti al mare? Per dire che un conto è l’idea, un altro lo sviluppo di un business.
Così per la bicicletta. Le due ruote ci sono dappertutto; le piste ciclabili, un po’ meno purtroppo; fare soldi con entrambe, ci sta riuscendo soprattutto il Trentino Alto Adige. Regione virtuosa, ha investito molto negli anni in queste infrastrutture non solo per la qualità di vita dei suoi residenti (a Brunico sono le auto che devono sottostare alle esigenze di bici e pedoni), ma anche per attirare un turismo di qualità e di numeri come si sta rivelando da tempo quello degli appassionati della bici. Che trovano in questa regione una rete fittissima di piste – vere, ben fatte, ben collegate – e un retroterra logistico che va dagli alberghi ai noleggi passando per i… bicigrill.
Ma a Rovereto, laddove la val d’Adige scende verso il Veneto, si è andati ben oltre, creando un vero incubatore di idee che possano trasformare brevetti sulla bici in potenziali affari. Qui si studiano dischi corredati di batteria da applicare alla ruota, in modo tale da trasformare la bici in elettrica, con una discreta autonomia e una velocità che può arrivare a 25 km all’ora: geniale. O un trolley con ruote che si possa agganciare alla ruota posteriore, trasformandosi in un carrello porta oggetti personali. Per non parlare di app per smartphone che s’interessano di scambi di bici, di informazioni, di tutto ciò che la modernità può portare di nuovo alle due ruote e ai ciclisti.
E’ così che dalle idee si può e si deve passare al business. Di incubatori di start up, insomma di aziende che sbocciano per avventurarsi nel mondo degli affari trasformando una bella idea in lavoro e soldi, ce ne sono diversi in Italia: i Politecnici in particolare sono vere miniere. Il nostro è un Paese che non difetta certo di intelligenze anche geniali, ma che invece pecca un po’ sul lato imprenditoriale, nel momento di sviluppare in modo più compiuto la lampadina accesa. E’ la sindrome Meucci: colui che inventò il telefono, ma i soldi (tantissimi) li fecero gli americani. Ahilui, ahinoi.
E allora, oltre alle idee e agli incubatori che permettano loro di sbocciare, non manchi quella finanza che deve credere un po’ di più al suo ruolo fertilizzante. Insomma quei capitali di ventura che negli Usa sono abbondantissimi, e qui no.
Nicola Salvagnin