Saremmo meno affaticati se ripensassimo ogni sera ad un gesto di gentilezza che ha addolcito la nostra giornata: l’impiegata dell’anagrafe che ci ha risolto col buon senso un’urgenza burocratica, il vicino di casa che ci ha segnalato la macchina parcheggiata coi fari accesi, il figlio che ci ha sbloccato il computer e alleviato così lo stress.
Dove per gentilezza non s’intende certo una prescrizione da galateo o la maschera mielosa indossata per puntare artatamente a “conquistare” e sopraffare l’altro. No, parliamo invece di quello stile gratuito e premuroso di attenzione al prossimo che esprime la nostra migliore umanità e che renderebbe il mondo migliore.
E’ una formula non magica che è stata messa sempre più in crisi da relazioni fredde e utilitaristiche, congelata da chiusure prevenute e prepotenti. Che possono sfociare anche in comportamenti violenti come quelli che abbiamo ricordato il 20 novembre nella Giornata dei diritti dei bambini e contrastato il 25 novembre nella marcia tutta rosa contro la violenza sulle donne.
Non è innata la gentilezza, non è una dote caratteriale. Viene educata nella scuola della famiglia – un figlio che non vede gentilezza nei genitori sarà ben difficilmente un padre gentile – e viene coltivata in quella formazione permanente che è la quotidianità. La descrive Papa Francesco nel passaggio di Amoris Laetitia dedicato a tre parole chiave: “Quando in una famiglia non si è invadenti e si chiede “permesso”, quando in una famiglia non si è egoisti e si impara a dire “grazie”, e quando in una famiglia uno si accorge che ha fatto una cosa brutta e sa chiedere “scusa”, in quella famiglia c’è pace e c’è gioia”.
Il segreto palese della gentilezza sta nel guardare all’altro come ad un complice, non un nemico. Come ad un alleato, non un ostacolo. Semplicemente come ad un uomo, di pari dignità; meglio ancora un fratello, per chi si sente amato dal Padre.
E la gentilezza scaturisce dal mettersi nei suoi panni, anticipare le sue esigenze. E andare oltre, fare un altro miglio insieme a lui. Non guardare l’orologio quando una persona ha bisogno di una mano o semplicemente di ascolto, la merce più rara del nostro tempo.
La gentilezza ha la voce bassa e le braccia aperte, non attende i diciott’anni e non va in pensione; ad ogni età della vita abbiamo modo di esercitarla e di assaporarla: da quando i nonni ci accompagnano alla scuola materna a quando i nipoti ci vengono a trovare perché siamo ormai inchiodati ad una carrozzina.
In tempi in cui la rete appare avvelenata dalle frasi di troppi odiatori e urlatori, dobbiamo saper rispondere seminando parole miti e gentili. Un esercizio? Evitiamo – come dice il “Manifesto delle parole ostili” diffuso anche a Trento in questi giorni – di condividere sui social prese di posizione caricate di parole aggressive e violente, anche se siamo d’accordo sulle intenzioni. Pensiamo invece a creare dei testi che esprimano giudizi netti sì, ma con atteggiamenti comunque rispettosi delle posizioni altrui.
La gentilezza sa ispirare e moltiplicare fiducia nell’uomo, è in grado di salvare il mondo.
Diego Andreatta
direttore di “Vita Trentina” (Trento)