Della manovra di bilancio, approvata dal governo Meloni lo scorso 21 novembre, ne sentiremo parlare a lungo. Almeno fino al 31 dicembre, termine entro il quale il provvedimento dovrà essere convertito in legge. Da una parte gli estimatori, intenti a esaltarne i pregi, dall’altra i critici, pronti a evidenziarne i difetti.
La manovra di bilancio sconta un iter legislativo lungo e complesso, che inizia in aprile con la presentazione del Documento di Economia e Finanza (Def) con il quale il governo fissa – per quest’anno vi ha provveduto Draghi – gli obiettivi di politica economica per l’anno successivo e le strategie per raggiungerli.
Quindi il disegno di legge che approvato dal Governo, di norma, entro il 20 ottobre, quest’anno, per ovvi motivi, è slittato di un mese. Il tutto si svolge sotto l’occhio “severo” dell’Unione europea.
Intanto è iniziato “l’assalto alla diligenza”, un’espressione questa, per indicare i tentativi con i quali gli esponenti della maggioranza – quelli dell’opposizione possono influire poco – tentano, con mezzi e mezzucci, compresa la minaccia di non votare la legge, di fare passare quelle proposte, spesso clientelari, che non sono riusciti a imporre nella stesura originaria.
La linea del governo, espressa dalla presidente Meloni e dal ministro dell’economia Giorgetti, è stata fin troppo chiara. Nel rivendicare che, a suo parere, si tratta di “una manovra importante e coraggiosa che scommette sulla crescita e sul futuro, con particolare attenzione ai redditi bassi e alle categorie in difficoltà”, la Premier ha tenuto a sottolineare che “noi non siamo quelli che sfasciano i conti”.
Una manovra di bilancio” prudente, responsabile, sostenibile e coraggiosa”
Criterio, questo, rafforzato dal ministro dell’Economia, il quale, dopo avere sottolineato che, a suo avviso, “la manovra è prudente, responsabile, sostenibile e coraggiosa”, ha ribadito che “Ogni minore tassa deve essere coperta con tagli alle spese o nuove entrate nella stessa materia” (articolo 81 della Costituzione). Aggiungendo che “sulla manovra in tanti invocavano sforamenti di qua e sfondamenti di là, per onorare quelle promesse sbandierate in campagna elettorale”.
In realtà si è confezionata una manovra dove, in misura modesta, c’è un po’ di tutto. Anche se è da apprezzare l’attenzione riservata alla famiglia, con interventi mirati, fra cui l’aumento dell’assegno unico. Per il resto la conferma, in gran parte, di misure già previste dal precedente governo. Flat tax a favore degli autonomi, bollette energetiche, pensioni minime e altre – con l’aggiunta di qualche spicciolo. D’altra parte, se sui trentacinque miliardi, a debito, due terzi dovevano essere riservati per contrastare, fino a marzo del 2023 (e dopo?), il caro bollette, per il resto non potevano che rimanere le briciole.
Una manovra di bilancio in linea con quella del governo precedente
Non hanno trovato, così, accoglienza le tante pretese di Berlusconi – pensioni a mille euro, su tutte – e neppure quelle di Salvini, fra cui la flat tax a tutti e la cancellazione della Fornero.
Per le pensioni, infatti, ancora misure ponte: 62 anni e 41 di contributi (quota 103). Al di là dei contenuti della manovra, colpisce, in particolare, la continuità con la linea del governo precedente. La proposta Meloni appare, infatti, più ristretta di quella ipotizzata ad aprile da Draghi, considerato, da molti, il nemico da abbattere.
Il duro impatto con la realtà – i conti in rosso e i vincoli europei- costringono tutti a rivedere quegli atteggiamenti utili, si, a prendere voti, ma pericolosi quando si governa. Vero che in un solo mese non si poteva fare di più, affermare, però, che la manovra ha una visione di Paese, appare eccessivo. A meno che non si vogliano considerare qualificanti misure come la rottamazione delle cartelle. I 5 mila euro di contante in tasca, o la lotta al reddito di cittadinanza. Per quest’ultimo, in particolare, anziché farne un affare di Stato, si poteva trovare, più opportunamente, una norma correttiva.
Nessun cenno, infine, a scuola, sanità, lotta all’evasione fiscale e riduzione della spesa pubblica. Se è vero che “la coperta è corta e la pacchia è finita”, il monito dovrebbe valere per tutti, anche per i più forti. “Le parole sono pietre”, scriveva Carlo Levi, possono essere intese come oggetti per offendere, oppure per costruire.
Pino Malandrino