Papa Francesco, 82 anni, molteplici problemi alla schiena e un grande sogno aggredito senza alcuna remora, nell’indifferenza di tanti che ignorano un’Africa che non porta consensi da sovranismo d’accattonaggio, per non dire da quattro soldi, o likes, in buona parte forzati con inserzioni di profili fasulli nell’era dei social dove tutto appare e poco si sostanzia e argomenta.
Il sogno di cercare la pace a ogni costo, senza badare alle chiacchiere di imbonitori che, a pancia piena, dimenticano l’inconfondibile messaggio del Vangelo, scordando che “non si può predicare il Vangelo con la bocca piena”, come ammoniva don Primo Mazzolari già un secolo fa. Un gesto clamoroso, perpetrato con spontanea determinazione senza temere le tronfie critiche da salotto egocentrico di tristi figure dedite al ciarlare sterile e velenoso. Persone che trascorrono molto tempo della loro preziosissima esistenza, agli occhi di Dio e degli uomini, a diffamare piuttosto che a prendere esempio; a distruggere e sospettare, anziché costruire e cooperare.
Un antico sogno
Eppure quello di una pace inseguita per mezzo di un continuo “abbattere muri, costruire ponti”, come da indimenticabile espressione intercorsa nelle lettere tra “il sindaco santo” Giorgio La Pira e Paolo VI già mezzo secolo fa è un sogno antico e sempre ferocemente attuale, che dovrebbe muoverci alla gioiosa azione condivisa, alla sequela di un leader che, dono della fede a parte, cerca di ricucire laddove le diplomazie nel migliore dei casi falliscono, ma per la verità spesso dimenticano di agire, sorde al grido di fratelli macchiatisi solo della colpa d’essere nati dalla parte “sbagliata” di questo tempo.
Chi vuol essere il primo…
Se vogliamo riflettere in chiave evangelica, o al richiamo teologico, badiamo alle parole di Gesù, pronunciate mentre i nostri antenati, quegli apostoli che, così umanamente fragili come noi, dibattevano sulla vanità della loro presunta importanza: “…CHI VUOL ESSERE GRANDE TRA VOI SI FARÀ VOSTRO SERVITORE, E CHI VUOL ESSERE IL PRIMO TRA VOI SARÀ IL SERVO DI TUTTI” (Vangelo di Marco 10,35-45). In chiave storico-politica, dove sono le prese di posizione dei leader? E’ più semplice guardare al clamore del gesto papale o chiedersi cosa abbiamo fatto noi della nostra delega politica e cosa hanno fatto i nostri “delegati” politici per “aiutare a casa loro”, per l’esattezza in Sudan, questi fratelli.
Ragionando sulla storia della chiesa, ricordo bene un papa, quello della mia infanzia, San Giovanni Paolo II, maledire la mafia nella valle dei templi ad Agrigento, nella mia amata e martoriata Sicilia, e urlare che ‘senza la pace tutto è perso’. Fece clamore anche allora, soprattutto tra gli stessi che poi si affrettarono a gridare “santo subito”. Ricorderò così questo papa in ginocchio davanti ai leader del Sudan, come mai nessuno prima, a chiedere pace, per ‘aiutarli davvero a casa loro’, non con beceri e disumani post partoriti dall’ignavia, ma umiliandosi in prima persona e al limite della propria stessa capacità di resistenza alla fatica.
“Umiliò sé stesso”
Certo ricorderò anche le miserie umane di chi cerca invano espedienti per criticarlo strumentalizzando anche questo straordinario gesto: “un vero papa non si sarebbe umiliato”, una delle critiche incredibilmente udite. Ignare di come a umiliarsi sia stato il Maestro in primis, accettando insulti, bestemmie, corone di spine, torture, una croce da trascinare per il calvario e la crocifissione, simbolo di un potere che non vuole potere, come di un amore che tutto sopporta, anche il proprio stesso annientamento. “Umiliò sé stesso” (Filippesi 2, 6-11), dopo avere lavato e baciato i piedi di quegli apostoli cui trasmise la gioia liberante della Buona Parola attraverso l’esempio in prima persona.
Come si è annientato nell’orgoglio quest’anziano pastore vestito di bianco, ansimando ma non cedendo alla fatica, perché se nell’uomo è intriso il volto di Dio, vale la pena sempre e comunque umiliarsi per lui, per quella pace che il Vangelo incarna, come il successore di Pietro emblematicamente pone su un’agenda mediatica che, escludendo la stampa cattolica come i colleghi di Avvenire, ha visto i media tristemente silenziosi in buona parte, se non addirittura impegnati a fare da piccolo megafono per il cavillo della strumentalizzazione di pochi tristi oppositori.
La pace, l’incontro e il “gran rifiuto”
Detrattori incomprensibili, incapaci di “sperare contro ogni speranza”, sempre per citare quel coraggioso sindaco di Firenze nato a Pozzallo, Giorgio La Pira, che si spinse a Mosca per parlare al soviet oltre mezzo secolo fa; che si spinse in Vietnam, unico “occidentale”, a trattare con Ho Chi Minh quelle condizioni di pace che poi, purtroppo solo otto anni dopo (per malafede di lobby delle armi americane), sarebbero valse la pace.
Questo clamoroso gesto ci ricorda che tutto vale, per mettere a tacere le armi e sedere a un tavolo di cooperazione, perché senza la pace, l’umanità che Dio ha voluto esprimere in atto d’amore autoelimina la sua essenza, fatta di relazione. Vogliamo parlarne ancora sul piano politico allora, una buona volta? Vogliamo chiederci come interpretare il fatto che questo papa abbia non a caso rifiutato di incontrare il Ministro degli interni italiano, Matteo Salvini, per le sue gravi dichiarazioni e i suoi conseguenti inaccettabili atti, lesivi della dignità umana, in materia di immigrazione? A una sola condizione: prima in ginocchio e in preghiera, in nome di Dio, come quel Francesco che baciò il lebbroso, in una relazione profonda come quella che Dio stabilì con l’uomo soffrendone ogni dolore.
Mario Agostino
Direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura – Diocesi di Acireale